venerdì 28 febbraio 2025

L'Integrazione come Paradigma: La Visione di un Nuovo Modello di Immigrazione

 L'Integrazione come Paradigma: La Visione di un Nuovo Modello di Immigrazione

Avv. Fabio Loscerbo

Negli ultimi anni, il dibattito sull'immigrazione in Italia si è spesso polarizzato tra posizioni estremiste, che oscillano tra un'accoglienza indiscriminata e una chiusura totale. Tuttavia, la realtà richiede un approccio più strutturato e realistico, che tenga conto sia delle esigenze dello Stato che dei diritti e doveri dei migranti. La mia visione in materia di immigrazione si basa su un principio chiaro: l'integrazione deve diventare il nuovo paradigma per affrontare il fenomeno migratorio.

L’Integrazione Non è un'Opzione, ma un Dovere

L'integrazione non può essere considerata una scelta personale del migrante, ma un vero e proprio obbligo per chi decide di vivere in Italia. Il diritto di rimanere nel nostro Paese non può essere fondato esclusivamente sulla presenza di un contratto di lavoro, ma deve essere il risultato di un percorso di inclusione sociale basato su tre pilastri fondamentali:

  1. Lavoro: Il migrante deve dimostrare la volontà e la capacità di contribuire economicamente alla società, attraverso un impiego regolare o un percorso formativo finalizzato all'inserimento lavorativo.
  2. Conoscenza della Lingua: La padronanza dell'italiano è essenziale per una reale partecipazione alla vita sociale e lavorativa. Un immigrato che non conosce la lingua del Paese in cui vive rimane inevitabilmente ai margini della società.
  3. Rispetto delle Regole: La permanenza in Italia deve essere subordinata al rispetto delle leggi, del sistema giuridico e dei valori costituzionali. Chi non si conforma alle norme di convivenza civile non può pretendere di restare sul territorio nazionale.

ReImmigrazione: Chi Non si Integra Deve Tornare nel Paese di Origine

Se l'integrazione è il criterio fondamentale per l'immigrazione, ne consegue che chi non si integra deve tornare nel proprio Paese di origine. Questo principio, che possiamo definire ReImmigrazione, si basa sull'idea che l'Italia non può permettersi di mantenere situazioni di precarietà cronica o sacche di marginalità sociale che alimentano tensioni e illegalità.

Non si tratta di una politica di espulsione indiscriminata, ma di un meccanismo che incentiva i migranti a impegnarsi attivamente nel loro processo di inclusione. Se, dopo un periodo ragionevole, un individuo non ha dimostrato un serio impegno nel percorso di integrazione, il rimpatrio diventa una scelta logica e necessaria.

L’Errore della Politica Attuale: Il Legame Esclusivo tra Lavoro e Soggiorno

Uno degli errori più grandi delle attuali politiche migratorie è quello di vincolare il diritto a rimanere in Italia esclusivamente alla presenza di un impiego. Questo approccio, oltre a essere insufficiente, rischia di creare gravi distorsioni nel mercato del lavoro, incentivando sfruttamento e precarietà.

Un modello più equo e funzionale dovrebbe considerare il grado complessivo di integrazione del migrante, valutando non solo la sua posizione lavorativa, ma anche il suo coinvolgimento nella comunità, l’apprendimento della lingua e il rispetto delle regole.

Verso un Sistema Basato su Diritti e Doveri Reciproci

L'integrazione deve essere un processo bilaterale: lo Stato deve garantire strumenti efficaci per favorire l’inclusione (corsi di lingua, formazione professionale, accesso alla legalità), ma il migrante deve dimostrare di voler realmente far parte della società italiana.

Questa visione permette di superare la contrapposizione tra accoglienza passiva e respingimento indiscriminato, ponendo al centro un modello sostenibile e giuridicamente solido, che tutela sia i cittadini italiani che i migranti stessi.

Solo adottando una politica migratoria basata su integrazione, responsabilità e reciprocità, potremo costruire una società più equa, sicura e rispettosa dei diritti di tutti.

L'Integrazione come Fondamento del Diritto: La Sentenza del Tribunale di Bologna R.G. 3260/2024

 L'Integrazione come Fondamento del Diritto: La Sentenza del Tribunale di Bologna R.G. 3260/2024

Avv. Fabio Loscerbo

La recente sentenza del Tribunale di Bologna (R.G. 3260/2024) segna un passo significativo nella giurisprudenza in materia di protezione speciale. Il provvedimento riconosce il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale a un cittadino straniero, valorizzando il percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia come elemento determinante.

L'Integrazione come Pilastro della Protezione Speciale

Il Tribunale ha ribadito un principio fondamentale: l'integrazione deve essere il nuovo paradigma per l'immigrazione. Il diritto di rimanere in Italia non può essere legato esclusivamente alla presenza di un contratto di lavoro, ma deve basarsi su tre pilastri essenziali: lavoro, conoscenza della lingua e rispetto delle regole. Questo approccio supera la logica emergenziale e introduce una visione strutturata del fenomeno migratorio, in cui la permanenza sul territorio nazionale è strettamente connessa alla capacità del cittadino straniero di inserirsi attivamente nel tessuto sociale.

Il Caso e la Decisione del Tribunale

Il ricorrente, presente in Italia dal 2020, si è visto negare il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale da parte della Questura di Ravenna, la quale aveva motivato il diniego evidenziando l'assenza di una documentazione sufficiente a dimostrare un percorso di integrazione adeguato. Tuttavia, il Tribunale, dopo aver analizzato il caso, ha ritenuto che il richiedente avesse sviluppato un significativo radicamento in Italia, comprovato da:

  • Attività lavorativa regolare e una progressiva autonomia economica, con stipendi documentati e contributi previdenziali versati.
  • Buona conoscenza della lingua italiana, confermata dall’ottenimento della certificazione B1 e dalla partecipazione a corsi scolastici.
  • Una rete di relazioni sociali e affettive consolidate nel territorio italiano, in cui il ricorrente ha sviluppato una vita privata riconosciuta dalle norme della CEDU.

Il Principio di ReImmigrazione e la Necessità di Regole Chiare

Il Tribunale ha quindi applicato i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riconoscendo che il respingimento del richiedente avrebbe comportato una violazione del diritto alla vita privata e familiare, come tutelato dall'art. 8 CEDU e dall'art. 19 TUI. Questo conferma l'importanza di una valutazione complessiva dell'integrazione, che non può limitarsi a parametri formali, ma deve considerare il percorso di inserimento reale del migrante.

D’altro canto, l’integrazione non può essere vista come un’opzione, ma come un preciso obbligo per chi sceglie di stabilirsi in Italia. Chi non rispetta le regole e non intraprende un percorso di integrazione deve essere soggetto al principio della ReImmigrazione, ovvero il ritorno nel paese di origine per chi non dimostra di voler aderire ai valori della società italiana.

Verso una Nuova Politica Migratoria

La sentenza del Tribunale di Bologna rappresenta un modello per la gestione dell’immigrazione, che deve fondarsi su criteri oggettivi di integrazione e non su valutazioni discrezionali prive di fondamento. Il riconoscimento della protezione speciale non deve essere un automatismo, ma nemmeno può essere negato a chi dimostra di aver avviato un reale percorso di inclusione.

L'integrazione deve essere il criterio guida delle politiche migratorie: chi lavora, impara la lingua e rispetta le regole deve avere il diritto di restare. Al contrario, chi non si integra deve essere rimpatriato, evitando il mantenimento di situazioni di precarietà che danneggiano sia i migranti sia la società ospitante.

Questa sentenza conferma che l'Italia ha gli strumenti giuridici per premiare chi si integra e per garantire che la protezione sia concessa solo a chi realmente contribuisce alla comunità. Un passo avanti verso una gestione dell’immigrazione più equa, basata su diritti e doveri chiari e reciproci.

Sentenza del Tribunale di Bologna N. R.G. 32343193 del 15/02/2025: L'Integrazione come Nuovo Paradigma per l'Approccio all'Immigrazione

 Sentenza del Tribunale di Bologna N. R.G. 32343193 del 15/02/2025: L'Integrazione come Nuovo Paradigma per l'Approccio all'Immigrazione

Avv. Fabio Loscerbo

L'immigrazione non è solo una questione di gestione dei flussi e di regolamentazione amministrativa, ma un fenomeno complesso che richiede una prospettiva più ampia e strutturata. La recente sentenza del Tribunale di Bologna offre uno spunto di riflessione cruciale su come il concetto di integrazione stia assumendo un ruolo sempre più centrale nel dibattito giuridico e politico.

Dalla Protezione alla Stabilità Sociale: Il Caso Giuridico

Il Tribunale di Bologna, con la sua decisione, ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale a una cittadina straniera, evidenziando come il suo inserimento sociale e lavorativo in Italia rappresentasse un elemento determinante ai fini della concessione del permesso di soggiorno. La pronuncia conferma l'orientamento della giurisprudenza italiana ed europea secondo cui il grado di integrazione del richiedente non può essere trascurato nella valutazione della sua posizione giuridica.

La richiedente, presente in Italia da oltre due anni, aveva intrapreso un percorso di crescita e stabilizzazione nel tessuto sociale italiano, lavorando in regola, costruendo relazioni significative e dimostrando un'effettiva autonomia abitativa. Il Tribunale ha sottolineato come l'integrazione economica e sociale sia un fattore determinante per il riconoscimento della protezione speciale, in linea con l'art. 19 del D.Lgs. 286/1998 e con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha affermato la necessità di valutare la vita privata e familiare del richiedente nel contesto dell'art. 8 CEDU.

Un Nuovo Modello di Valutazione: L’Integrazione come Criterio Prioritario

La sentenza segna un punto di svolta nell'approccio all'immigrazione, mettendo in evidenza che l'integrazione non è solo un'opzione, ma un diritto che deve essere tutelato. L'idea di protezione non può limitarsi esclusivamente alla presenza di pericoli oggettivi nel Paese d'origine, ma deve estendersi anche al rischio concreto di uno "sradicamento forzato" dal contesto in cui il richiedente ha costruito la propria esistenza.

L'ordinamento italiano, alla luce della riforma del 2020 e della più recente legislazione del 2023, ha progressivamente consolidato il principio secondo cui l'integrazione sociale ed economica rappresenta un elemento chiave nella concessione della protezione speciale. Il Tribunale ha espressamente riconosciuto che la perdita del lavoro, della rete sociale e della stabilità acquisita costituirebbe una grave lesione dei diritti fondamentali del richiedente, violando l'art. 8 della CEDU e gli obblighi costituzionali italiani.

Dalla Sentenza alla Politica: Un Modello da Seguire

L’integrazione deve essere concepita non solo come un parametro valutativo nei procedimenti giudiziari, ma come un obiettivo politico e amministrativo. Questo significa:

  • Migliorare l’accesso alla formazione e all’occupazione per i migranti per favorire una reale inclusione nel mercato del lavoro;
  • Promuovere politiche abitative e di sostegno sociale che consentano ai migranti di vivere in autonomia e sicurezza;
  • Adottare un approccio pragmatico alla protezione internazionale e speciale, evitando che la burocrazia si trasformi in un ostacolo insormontabile alla stabilizzazione delle persone già integrate.

Questa sentenza, dunque, non è solo una decisione favorevole a un singolo individuo, ma rappresenta un tassello fondamentale per la costruzione di una visione più moderna e inclusiva del fenomeno migratorio, in cui il riconoscimento della protezione non sia più un’eccezione concessa con riluttanza, ma un elemento strutturale della società.

Conclusione

L’integrazione non è un lusso, ma una necessità giuridica e sociale. La sentenza del Tribunale di Bologna dimostra che la stabilizzazione dei migranti attraverso il riconoscimento del loro radicamento sociale è un principio che deve guidare le scelte normative e amministrative. Il diritto alla protezione non può essere interpretato in modo restrittivo, ma deve essere letto in funzione della dignità della persona, della sua capacità di costruire una nuova vita e del contributo che essa può offrire alla comunità di accoglienza.

L’integrazione deve diventare il nuovo paradigma dell’immigrazione, per una società più equa, sicura e rispettosa dei diritti di tutti.

giovedì 27 febbraio 2025


 

Il diritto alla protezione complementare e l'obbligo della Questura: analisi di una recente ordinanza del Tribunale di Bologna

 Il diritto alla protezione complementare e l'obbligo della Questura: analisi di una recente ordinanza del Tribunale di Bologna

Introduzione La protezione complementare costituisce un elemento centrale del sistema di tutela dei richiedenti asilo in Italia, ma la sua concreta applicazione è spesso ostacolata da prassi amministrative che ne limitano l'accessibilità. In tale contesto si inserisce l'ordinanza del Tribunale di Bologna (N.R.G. 1199/2025), che ha ribadito l'obbligo della Questura di ricevere le istanze di protezione complementare e di avviare il relativo procedimento amministrativo.

Il caso sottoposto al giudizio Il ricorrente aveva presentato istanza di protezione complementare presso la Questura di Forlì il 18 novembre 2024. A seguito dell’inerzia dell’Amministrazione, il richiedente ha inoltrato due solleciti (13 e 20 gennaio 2025) senza ricevere alcun riscontro. In ragione di ciò, ha promosso ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. al fine di ottenere la fissazione di un appuntamento e il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio.

La posizione del ricorrente e il quadro normativo Il ricorrente ha invocato il diritto alla protezione complementare, richiamando la Direttiva 2013/32/UE, recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 25/2008, e l’art. 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che garantisce il diritto di asilo. Inoltre, ha fatto riferimento alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-808/18), che impone agli Stati membri di garantire l’accesso effettivo alla procedura di protezione.

La decisione del Tribunale Il Tribunale di Bologna ha accolto la domanda cautelare, riconoscendo la sussistenza sia del fumus boni iuris, ossia la fondatezza giuridica della pretesa, sia del periculum in mora, ovvero il rischio concreto per il ricorrente di subire un pregiudizio irreparabile in caso di ulteriore ritardo nella formalizzazione della domanda.

Il Giudice ha ritenuto che:

  1. L’inazione della Questura costituisce una violazione del diritto di accesso alla protezione internazionale e complementare, così come garantito dalla normativa nazionale ed europea.
  2. La mancata calendarizzazione di un appuntamento per la formalizzazione della domanda di protezione complementare configura un’illegittima preclusione all’esercizio di un diritto fondamentale.
  3. La disciplina introdotta dalla L. 50/2023 impone che le istanze di protezione complementare siano trattate nell’ambito della procedura per la protezione internazionale, garantendo l’accesso alla Questura per la loro formalizzazione.

Le implicazioni della pronuncia L’ordinanza stabilisce un principio di grande rilievo: la Questura non può ostacolare l’accesso alla procedura di protezione complementare mediante il proprio silenzio amministrativo. Il diritto di presentare domanda deve essere garantito attraverso la fissazione di un appuntamento e il rilascio di una ricevuta di permesso di soggiorno provvisorio.

Il Tribunale ha ordinato alla Questura di Forlì di:

  • ricevere l’istanza di protezione complementare secondo la procedura di protezione internazionale;
  • rilasciare la ricevuta di permesso di soggiorno provvisorio;
  • in alternativa, fissare un appuntamento entro 15 giorni, rilasciando un’attestazione di pendenza della procedura.

Conclusione Questa ordinanza del Tribunale di Bologna rappresenta un ulteriore passo avanti nella tutela del diritto alla protezione complementare, riaffermando il principio secondo cui l’Amministrazione è obbligata a garantire l’accesso effettivo alla procedura e non può frapporre ostacoli arbitrari alla formalizzazione delle istanze. Il provvedimento offre un importante riferimento per chi si trovi in situazioni analoghe e consolida l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare il diritto d’asilo e la protezione internazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 15 febbraio 2025

Conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso di lavoro: due ordinanze chiariscono i limiti normativi

 

Conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso di lavoro: due ordinanze chiariscono i limiti normativi

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

Recenti provvedimenti del Consiglio di Stato e del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Veneto hanno affrontato il delicato tema della conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, alla luce delle modifiche normative introdotte dal Decreto-Legge n. 20/2023.

Il quadro normativo di riferimento

Il Decreto-Legge n. 20 del 10 marzo 2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 50 del 5 maggio 2023, ha apportato significative modifiche al Testo Unico sull'Immigrazione (D.Lgs. n. 286/1998), eliminando la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per cure mediche in permesso per lavoro. Tuttavia, l’articolo 7 del decreto ha introdotto una disciplina transitoria, consentendo la conversione solo per determinate tipologie di permessi già in corso di validità prima dell’entrata in vigore della riforma.

Le decisioni giurisprudenziali

Il TAR del Veneto, con ordinanza del 4 settembre 2024, ha esaminato il caso di un cittadino straniero a cui la Questura aveva negato la conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso per lavoro subordinato. Il giudice amministrativo ha confermato la legittimità del provvedimento, evidenziando che il Decreto-Legge n. 20/2023 ha eliminato questa possibilità e che la disciplina transitoria non si applica ai permessi per cure mediche.

Successivamente, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 3747 del 25 settembre 2024, ha confermato l’interpretazione del TAR Veneto, ribadendo che la normativa attuale non prevede alcuna conversione per i permessi di soggiorno per cure mediche, salvo che la richiesta sia stata presentata prima del 10 marzo 2023.

Implicazioni per i cittadini stranieri

Queste pronunce confermano un’interpretazione restrittiva della normativa, escludendo la possibilità di conversione per coloro che hanno ottenuto un permesso di soggiorno per cure mediche dopo l’entrata in vigore del Decreto-Legge n. 20/2023. Pertanto, per chi si trova in questa situazione, sarà necessario valutare altre opzioni per regolarizzare la propria posizione in Italia, come l’eventuale presentazione di una nuova istanza per protezione speciale o per altri motivi previsti dalla legge.

Si tratta di una questione di grande rilevanza pratica, che evidenzia ancora una volta la necessità di un'interpretazione chiara e coerente delle norme in materia di immigrazione, evitando incertezze che possano penalizzare i cittadini stranieri e le loro possibilità di integrazione socio-lavorativa.


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venerdì 14 febbraio 2025

Conversione del Permesso di Soggiorno da Lavoro Stagionale a Subordinato: Il TAR Emilia-Romagna (Sent. n. 71/2025 del 12 febbraio 2025) Conferma il Requisito delle 39 Giornate Prima della Domanda

 

Conversione del Permesso di Soggiorno da Lavoro Stagionale a Subordinato: Il TAR Emilia-Romagna (Sent. n. 71/2025 del 12 febbraio 2025) Conferma il Requisito delle 39 Giornate Prima della Domanda

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, con sentenza n. 71/2025 del 12 febbraio 2025, ha rigettato il ricorso proposto contro il diniego di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato, ribadendo che il requisito delle 39 giornate lavorative deve essere maturato prima della presentazione della domanda di conversione.

Il Fulcro della Controversia: Quando Devono Essere Maturate le 39 Giornate?

L’amministrazione aveva negato la conversione del permesso di soggiorno al ricorrente, ritenendo che il numero minimo di 39 giornate lavorative non fosse stato raggiunto prima della presentazione della richiesta di conversione. Il ricorrente, invece, sosteneva che tale requisito potesse essere maturato anche successivamente alla domanda, purché la continuità lavorativa fosse garantita.

La Decisione del TAR: Un’Applicazione Rigorosa della Normativa

Il TAR, nel respingere il ricorso, ha confermato l’interpretazione adottata dall’amministrazione, affermando che:

  • Il lavoratore straniero che richiede la conversione del permesso di soggiorno da stagionale a subordinato deve dimostrare di aver già completato le 39 giornate di lavoro al momento della presentazione della domanda;
  • Non è possibile integrare il requisito in un momento successivo, anche se il rapporto di lavoro è ancora attivo e prosegue dopo la domanda;
  • La norma va interpretata in maniera rigida, senza lasciare margini di discrezionalità all’amministrazione nella valutazione della continuità del rapporto lavorativo.

Nel caso specifico, il ricorrente aveva svolto giornate di lavoro dal 15 marzo 2023 al 14 giugno 2023 e dal 5 luglio 2023 al 20 agosto 2023, mentre la domanda di conversione era stata presentata in data 27 marzo 2023. Pertanto, alla data di presentazione della richiesta, il requisito minimo non risultava ancora soddisfatto.

Le Conseguenze della Sentenza

La pronuncia del TAR Emilia-Romagna si inserisce in un quadro giurisprudenziale che applica un’interpretazione rigorosa dei requisiti previsti per la conversione del permesso di soggiorno. Tale impostazione può determinare effetti penalizzanti per i lavoratori stranieri, che potrebbero vedersi negata la possibilità di stabilizzarsi nel mercato del lavoro italiano per mere ragioni formali.

Questa decisione solleva criticità in relazione alla realtà del settore del lavoro stagionale, dove la durata effettiva del rapporto di lavoro può essere influenzata da fattori esterni, come le condizioni climatiche o le esigenze produttive delle aziende agricole. Inoltre, l’imposizione del requisito delle 39 giornate lavorative prima della domanda di conversione potrebbe ostacolare la regolarizzazione di molti lavoratori, anche quando vi sia una prospettiva concreta di continuità occupazionale.

Conclusione

La sentenza del TAR Emilia-Romagna evidenzia ancora una volta le difficoltà burocratiche che i lavoratori stranieri devono affrontare per ottenere la conversione del loro permesso di soggiorno. L’applicazione rigida e formalistica della normativa rischia di compromettere il percorso di integrazione di chi, pur avendo un’attività lavorativa in corso, non riesce a soddisfare un requisito temporale che potrebbe non dipendere dalla sua volontà.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

lunedì 10 febbraio 2025

La Questura è obbligata a fissare l’appuntamento per la protezione complementare: nuova ordinanza del Tribunale di Venezia

 

La Questura è obbligata a fissare l’appuntamento per la protezione complementare: nuova ordinanza del Tribunale di Venezia

Introduzione

Una recente ordinanza del Tribunale di Venezia ha ribadito l'obbligo della Questura di fissare l’appuntamento per la formalizzazione della domanda di protezione complementare, riaffermando il diritto del richiedente ad accedere alla procedura amministrativa. La decisione rappresenta un importante precedente per coloro che si trovano in una situazione di stallo a causa dell'inerzia della Pubblica Amministrazione.

Il Caso

Il ricorrente aveva presentato una formale richiesta di protezione complementare presso la Questura competente, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. Nonostante numerosi solleciti, l’Amministrazione non aveva fissato l’appuntamento necessario alla formalizzazione della domanda, lasciando il richiedente in una condizione di irregolarità amministrativa.

Di fronte a questo immobilismo, il richiedente ha deciso di adire le vie legali, proponendo un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., volto a ottenere un ordine giudiziale per la fissazione dell’appuntamento e l’avvio della procedura amministrativa.

La Decisione del Tribunale

Il Tribunale di Venezia ha accolto parzialmente il ricorso, confermando che:

  1. L’inerzia della Questura viola il diritto del richiedente di accedere alla protezione complementare. Anche solo per rigettare la richiesta, l’Amministrazione ha il dovere di fissare un appuntamento e formalizzare la domanda.

  2. Il ritardo nell'avvio della procedura configura un pericolo concreto per il richiedente, che rimane esposto al rischio di irregolarità e possibile rimpatrio forzato senza aver potuto esercitare pienamente il proprio diritto alla protezione.

  3. L’ordine di fissazione dell’appuntamento è immediatamente esecutivo, e la Questura è tenuta a darne seguito senza ulteriori ritardi.

Tuttavia, il Giudice ha chiarito che la decisione sull'accoglimento o il rigetto della domanda di protezione complementare rimane di competenza dell'Amministrazione e non può essere anticipata in sede giudiziaria.

Implicazioni della Sentenza

Questa ordinanza conferma un orientamento sempre più consolidato nella giurisprudenza di merito: la Pubblica Amministrazione non può negare l’accesso alla protezione complementare attraverso il silenzio o l’inerzia procedurale. Se un richiedente ha manifestato la volontà di accedere alla protezione, la Questura è obbligata a procedere con l’istruttoria e a consentire la presentazione formale della domanda.

Inoltre, il provvedimento rafforza il concetto di tutela giurisdizionale nei confronti di prassi amministrative scorrette o dilatorie, permettendo ai richiedenti di ottenere giustizia in tempi più rapidi attraverso strumenti come il ricorso ex art. 700 c.p.c..

Conclusioni

Questa decisione rappresenta un significativo passo avanti nella tutela dei diritti dei richiedenti protezione complementare, confermando che il silenzio amministrativo non può tradursi in una negazione di fatto dei diritti fondamentali.

Per chi si trovasse in una situazione simile, è consigliabile agire tempestivamente per far valere i propri diritti, eventualmente con il supporto di un legale esperto in diritto dell'immigrazione.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

mercoledì 5 febbraio 2025

Il Permesso di Soggiorno per Cure Mediche: Una Tutela Fondamentale per il Diritto alla Salute

 

Il Permesso di Soggiorno per Cure Mediche: Una Tutela Fondamentale per il Diritto alla Salute

Il permesso di soggiorno per cure mediche rappresenta uno strumento essenziale nel garantire il diritto alla salute e all'unità familiare, soprattutto per quei nuclei che si trovano a fronteggiare gravi patologie. Il caso esaminato riguarda una famiglia residente in Italia, il cui membro più giovane è affetto da una malattia genetica rara e invalidante, la fibrosi cistica, che richiede cure continuative e la presenza costante dei genitori come assistenti primari.

Il Quadro Normativo di Riferimento

Il rilascio di questo tipo di permesso si fonda sull’art. 19, comma 2, lettera d-bis, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione), il quale vieta l’espulsione degli stranieri che necessitano di cure essenziali per la propria sopravvivenza o che assistono familiari in situazioni di grave vulnerabilità. Questo principio è ulteriormente rafforzato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 44/2022, che ha sancito il diritto del padre di un minore gravemente malato di ottenere un permesso per garantire il suo supporto.

Anche la giurisprudenza sovranazionale si pone a tutela di questi diritti:

  • Art. 8 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo): tutela la vita privata e familiare, imponendo agli Stati di garantire misure positive per l’unità familiare.
  • Convenzione sui Diritti del Fanciullo: riconosce il superiore interesse del minore e il diritto alla salute come diritti imprescindibili.
  • Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE: rafforza il diritto alla vita familiare e alla salute.

Il Caso Analizzato

Nel caso specifico, una minore affetta da fibrosi cistica, che richiede cure complesse e continuative, ha già ottenuto un permesso di soggiorno per cure mediche insieme alla madre. Tuttavia, il padre, nonostante il suo ruolo cruciale come assistente familiare, è privo di un titolo di soggiorno. Il mancato rilascio di un permesso in suo favore rappresenta una violazione grave dei principi sopra citati, mettendo a rischio sia la salute della minore sia l’unità del nucleo familiare.

L'Importanza del Ruolo Genitoriale

Le cure richieste da questa patologia comprendono:

  • Terapie farmacologiche e respiratorie giornaliere.
  • Supporto nutrizionale e monitoraggio continuo.
  • Assistenza durante ricoveri e visite mediche.

La presenza del genitore, in questo caso del padre, è fondamentale non solo per il supporto pratico ma anche per l’equilibrio psicologico del minore. L’assenza di un permesso per cure mediche per il padre crea una disparità nella tutela dei diritti della famiglia e ostacola il benessere del minore.

Le Richieste alla Pubblica Amministrazione

La famiglia ha richiesto alla Questura competente:

  1. Il rilascio di un permesso di soggiorno per cure mediche in favore del padre, che possa garantire la piena assistenza alla figlia malata.
  2. La fissazione di un appuntamento per attivare la procedura e la consegna della documentazione necessaria.
  3. L’adozione di una procedura semplificata per garantire un esito rapido, data la gravità della situazione.

Giurisprudenza a Sostegno

La recentissima ordinanza del Tribunale di Bologna (R.G. n. 11014/2021) ha ribadito l’obbligo delle Questure di ricevere e istruire le domande di permesso di soggiorno per cure mediche, censurando rifiuti informali o basati su meri formalismi. Il diritto alla salute, in tali casi, deve prevalere su ogni altro aspetto.

Conclusione

Questo caso sottolinea l’importanza di un approccio amministrativo che privilegi i diritti fondamentali della persona, in particolare del minore, e la necessità di garantire una tutela effettiva e non solo formale. La salute e il benessere della minore dipendono dalla possibilità che entrambi i genitori possano essere presenti e attivamente coinvolti nel percorso terapeutico.

L’auspicio è che le autorità competenti accolgano rapidamente la richiesta della famiglia, riconoscendo il diritto del padre al permesso di soggiorno per cure mediche, per tutelare l’integrità familiare e garantire una qualità di vita dignitosa alla minore.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

Hashtag

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martedì 4 febbraio 2025

Il Tribunale di Cagliari Riconosce la Protezione Speciale: Un Caso di Rilevanza per il Diritto dell'Immigrazione

 

Il Tribunale di Cagliari Riconosce la Protezione Speciale: Un Caso di Rilevanza per il Diritto dell'Immigrazione

Autore: Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo
Registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36


Il Tribunale di Cagliari, con il decreto del 30 gennaio 2025 (R.G. 2296/2024), ha accolto il ricorso presentato da un cittadino tunisino contro il rigetto della sua domanda di protezione internazionale. Pur escludendo il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, commi 1.1 e 1.2, del D. Lgs. 286/1998, così come modificato dal D.L. n. 20/2023.

Motivazioni della Decisione

Il ricorrente aveva lasciato la Tunisia nel 2020, sbarcando in Italia dopo un viaggio via mare. Il diniego della protezione internazionale era motivato dall’assenza di elementi di persecuzione personale o rischio grave nel Paese d'origine, ma il Tribunale ha valorizzato l’integrazione sociale e lavorativa dell'interessato in Italia.

La decisione sottolinea che il richiedente:

  • Risiede in Italia da diversi anni,
  • Ha avuto esperienze lavorative documentate,
  • Ha dimostrato un effettivo inserimento nel tessuto sociale,
  • Sostiene economicamente la famiglia nel Paese d’origine.

Il Tribunale ha richiamato l’art. 8 della CEDU e l’art. 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, riconoscendo che un rimpatrio forzato avrebbe violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Implicazioni Giuridiche

Questa pronuncia si inserisce in un orientamento giurisprudenziale consolidato, che enfatizza l’importanza del radicamento sociale come criterio per il rilascio della protezione speciale. Il decreto impone alla Questura territorialmente competente di procedere al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, con l’obbligo di rispettare la decisione giudiziaria.

Questa sentenza rappresenta un ulteriore riconoscimento della centralità dell’integrazione sociale come elemento fondante della protezione speciale, rafforzando il diritto al soggiorno per coloro che hanno costruito un legame stabile con l’Italia.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo
Registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

sabato 1 febbraio 2025

Diritto dell’Immigrazione e il Concetto di ReImmigrazione: Integrazione o Ritorno?

 Diritto dell’Immigrazione e il Concetto di ReImmigrazione: Integrazione o Ritorno?

Introduzione

Nel dibattito giuridico e sociale sull'immigrazione, il concetto di integrazione è spesso considerato il punto di arrivo di un percorso che inizia con l'ingresso del migrante nel Paese ospitante e si conclude con la sua piena partecipazione alla vita sociale, economica e culturale. Tuttavia, un fenomeno meno esplorato, ma in crescita, è quello della ReImmigrazione, intesa come il ritorno di un migrante nel Paese d'origine o in un terzo Stato dopo un periodo di integrazione nel Paese ospitante.

Integrazione: Un Obiettivo Giuridico e Sociale

L’integrazione degli stranieri è un obiettivo riconosciuto dal diritto dell’Unione Europea e dalle normative nazionali. Essa si fonda su pilastri quali:

  • Accesso al mercato del lavoro, spesso agevolato da permessi di soggiorno per motivi di lavoro o protezione;
  • Partecipazione sociale, attraverso il diritto all’istruzione, alla salute e alla sicurezza sociale;
  • Protezione giuridica, tramite strumenti come la protezione internazionale, speciale o complementare.

Tuttavia, l'integrazione non è sempre un processo lineare e irreversibile. Alcuni migranti, dopo aver raggiunto un buon livello di stabilità, decidono di lasciare il Paese ospitante per varie ragioni, dando vita al fenomeno della ReImmigrazione.

Il Concetto di ReImmigrazione

Con ReImmigrazione si intende il ritorno volontario o indotto di un migrante in un altro contesto migratorio dopo un periodo di stabilità in un Paese. Questo concetto si distingue dal semplice rimpatrio, che spesso avviene per cause di forza maggiore (dinieghi di protezione, espulsioni, difficoltà economiche), e si caratterizza per un elemento di scelta e pianificazione.

I motivi alla base della ReImmigrazione possono essere:

  • Aspettative non soddisfatte: il migrante, pur integrato, può non trovare nel Paese di accoglienza le opportunità sperate e decide di cercarle altrove.
  • Riconoscimento giuridico limitato: restrizioni nei rinnovi dei permessi di soggiorno o difficoltà burocratiche spingono molti a spostarsi in Stati con normative più favorevoli.
  • Legami con il Paese d’origine: il miglioramento delle condizioni economiche o politiche del Paese natale può indurre il migrante a rientrare e contribuire allo sviluppo locale con le competenze acquisite.
  • Mobilità intra-UE: molti migranti stabiliti in un Paese europeo scelgono di trasferirsi in un altro Stato membro, sfruttando il riconoscimento della protezione internazionale o del permesso di soggiorno.

ReImmigrazione e Diritto dell’Immigrazione

Il diritto dell’immigrazione deve evolversi per rispondere a queste nuove dinamiche. Alcune misure che potrebbero agevolare una ReImmigrazione consapevole e tutelata includono:

  1. Programmi di Rientro Assistito: garantire che i migranti che scelgono di lasciare il Paese possano farlo con adeguato supporto, evitando situazioni di precarietà.
  2. Mobilità intra-UE per migranti regolari: agevolare il riconoscimento di titoli di soggiorno tra Stati membri, evitando che chi ha già un’integrazione avviata debba ripartire da zero.
  3. Diritto al Rientro: prevedere meccanismi che consentano ai migranti di poter tornare nel Paese ospitante, qualora lo desiderino, senza perdere i diritti acquisiti.

Conclusione

La ReImmigrazione sfida l’idea tradizionale di immigrazione come percorso a senso unico. I legislatori e i giuristi devono tenerne conto nella costruzione di un diritto dell’immigrazione più dinamico, che riconosca la mobilità come un elemento positivo e non come una perdita. L’integrazione, infatti, non dovrebbe essere vista solo come un processo definitivo, ma anche come un capitale di esperienze e competenze che può essere speso in diversi contesti, garantendo sia la libertà individuale del migrante che il beneficio per le società coinvolte.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell'Unione Europea – ID: 280782895721-36

Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025

  Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025 A...