domenica 13 aprile 2025

Effettività della notifica e diritto di difesa nei procedimenti in materia di asilo: il Tribunale di Roma chiarisce i limiti della conoscenza informale del provvedimento

 Effettività della notifica e diritto di difesa nei procedimenti in materia di asilo: il Tribunale di Roma chiarisce i limiti della conoscenza informale del provvedimento

Avv. Fabio Loscerbo

Con decreto del 9 ottobre 2024 (R.G. 22188/2021), il Tribunale di Roma si è pronunciato su un ricorso ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008 presentato da un richiedente asilo ivoriano, rigettando la domanda di riconoscimento della protezione internazionale ma accogliendo quella per protezione speciale. Il decreto contiene un passaggio di particolare interesse sotto il profilo processuale, con riferimento alla tempestività del ricorso e alla validità della notifica del provvedimento impugnato.

Secondo quanto sostenuto in giudizio dall’Amministrazione dell’interno, il ricorrente sarebbe stato a conoscenza della decisione di rigetto della Commissione territoriale di Cagliari per effetto della consegna informale del provvedimento, benché la notifica non fosse ancora avvenuta nelle forme prescritte. Di conseguenza, secondo la difesa erariale, il termine per la proposizione del ricorso sarebbe dovuto decorrere da quel momento.

Il Tribunale, tuttavia, ha smentito tale ricostruzione, chiarendo che il provvedimento impugnato è stato formalmente conosciuto dal ricorrente solo in seguito all’accesso agli atti, e che non può attribuirsi rilievo giuridico alla semplice consegna informale priva delle garanzie previste dalla legge in materia di notificazione.

La certezza giuridica nella decorrenza dei termini

La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che tutela la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa. Come chiarito dal Tribunale, ritenere sufficiente una presa di conoscenza informale del provvedimento – priva di prova documentale, avviso di ricevimento o relata di notifica – equivarrebbe a introdurre una zona grigia nella determinazione del dies a quo, compromettendo tanto il principio della certezza del diritto quanto quello dell’economia processuale.

Sotto il primo profilo, si rischierebbe di fondare la decadenza del diritto di azione su una data incerta, unilaterale e difficilmente dimostrabile, in contrasto con il principio per cui le decadenze processuali devono sempre poggiare su atti formali e verificabili.

Sotto il secondo profilo, il riconoscimento di effetti alla conoscenza informale potrebbe moltiplicare inutili contenziosi, costringendo i giudici a pronunciarsi su eccezioni preliminari relative alla tempestività sulla base di elementi indeterminati, anziché favorire la concentrazione processuale sui profili sostanziali.

Il diritto a un ricorso effettivo e la forma della notifica

La decisione si collega direttamente al principio sancito dagli artt. 13 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui ogni persona ha diritto a un ricorso effettivo. L’effettività del ricorso implica non solo l’accesso alla giustizia, ma anche la possibilità di esercitare un diritto di difesa consapevole, che presuppone la piena conoscenza dell’atto da impugnare nelle forme legali previste.

In tal senso, la notificazione del provvedimento amministrativo costituisce non una mera formalità, ma un presidio di legalità e tutela per il destinatario. Il suo perfezionamento secondo le modalità previste dalla legge – ad esempio mediante raccomandata con avviso di ricevimento – è condizione necessaria affinché possa validamente iniziare a decorrere il termine per proporre ricorso.

Conclusioni

Il Tribunale di Roma riafferma un principio fondamentale: il termine per proporre ricorso decorre solo dalla notifica rituale del provvedimento e non da forme informali di conoscenza che, per quanto possano ritenersi avvenute, non offrono garanzie idonee a tutelare il diritto di difesa.

In materia di protezione internazionale, dove le conseguenze della decisione amministrativa possono incidere su beni primari come la libertà personale o l’integrità psicofisica, ogni limitazione del diritto a impugnare deve essere fondata su presupposti certi, formali e verificabili. Solo così si garantisce un effettivo accesso alla giustizia, conforme ai principi costituzionali e sovranazionali.

Avv. Fabio Loscerbo

Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna

 Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna

Avv. Fabio Loscerbo

Con il decreto del 14 novembre 2024 (R.G. 5763/2024), il Tribunale di Catania ha affrontato una questione di rilevante interesse pratico in materia di protezione internazionale: la validità della notifica del provvedimento di rigetto e il conseguente computo del termine per proporre ricorso ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008.

Nel caso in esame, l’Amministrazione aveva provato l’avvenuto invio della decisione negativa della Commissione territoriale tramite una schermata del sistema VESTANET, contenente la data di spedizione della raccomandata al richiedente. Tuttavia, non aveva fornito prova del perfezionamento della notifica, ossia della sua effettiva consegna al destinatario, elemento determinante per stabilire il dies a quo del termine decadenziale per impugnare.

Il principio generale: chi propone il ricorso deve provarne la tempestività

Il Tribunale ha correttamente richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui è onere del ricorrente dimostrare la tempestività dell’impugnazione, ad esempio mediante il deposito della copia notificata del provvedimento impugnato (Cass. n. 37672/2022; Cass. n. 21133/2020).

Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione con sentenza n. 18925 del 10 luglio 2024, questo principio va applicato tenendo conto anche dell’atteggiamento dell’Amministrazione: se l’Amministrazione non produce copia del provvedimento notificato con la relata o l’avviso di ricevimento, ciò non impedisce al ricorrente di dimostrare comunque la tempestività, allegando la documentazione alternativa o dimostrando l’infruttuoso tentativo di ottenerla.

La notifica per posta: rilevanza del timbro postale e dell’avviso di ricevimento

Il Tribunale di Catania ha osservato che, ai sensi dell’art. 11, co. 3-bis, d.lgs. 142/2015, la notifica del provvedimento di rigetto deve essere provata mediante la produzione degli atti completi del procedimento notificatorio, vale a dire l’avviso di ricevimento restituito al mittente. La sola schermata informatica del sistema VESTANET, che attesta l’invio ma non la ricezione, non è sufficiente a provare che la notifica si sia perfezionata (Cass. n. 36900/2022).

La conseguenza: il ricorso è tempestivo se manca prova della notifica

Alla luce di ciò, il giudice ha stabilito che in assenza di prova dell’effettiva consegna tramite posta, la notifica non può ritenersi valida. Di conseguenza, ha individuato il termine iniziale (dies a quo) non nella data di spedizione ma in quella della consegna a mano del provvedimento presso la Questura, avvenuta il 20 maggio 2024. Essendo stato il ricorso presentato entro 30 giorni da tale data, è stato dichiarato tempestivo.

Rilievi conclusivi

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale nel contenzioso in materia di protezione internazionale: non basta inviare un provvedimento per via postale per considerarlo notificato, ma occorre fornire la prova documentale della sua effettiva ricezione. È su questa base che si calcola il termine per ricorrere, e non sulla semplice esistenza di un’informazione interna al sistema amministrativo.

Inoltre, il decreto evidenzia il necessario bilanciamento tra l’onere probatorio del ricorrente e il dovere di cooperazione dell’Amministrazione, in un contesto in cui l’effettiva conoscenza dell’atto incide direttamente sull’esercizio di un diritto fondamentale: quello alla tutela giurisdizionale contro un diniego che può compromettere la permanenza sul territorio nazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

 La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2291/2024, emessa in data 8 marzo 2024 (R.G. 579/2024), il Tribunale di Bologna affronta in modo approfondito e innovativo il tema dell’accesso alla protezione speciale per stranieri gravati da una condanna per reato grave, collocandosi nel solco della giurisprudenza di legittimità che valorizza la funzione costituzionale e convenzionale di tale istituto.

Il ricorrente aveva presentato istanza ex art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286/98 direttamente al Questore prima dell’entrata in vigore della riforma del 2023, ricevendone rigetto in quanto gravato da condanna definitiva per un reato di particolare gravità, nonostante la pena fosse già stata interamente espiata. La decisione era stata adottata sulla base del parere negativo espresso dalla Commissione territoriale di Bologna.

Il principio generale: il bilanciamento tra diritto alla vita privata e sicurezza pubblica

Nella propria motivazione, il Tribunale richiama i principi sanciti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, sottolineando come l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU debba essere sempre oggetto di un bilanciamento con le esigenze di ordine e sicurezza pubblica, secondo un criterio di proporzionalità e attualità del pericolo.

Il punto centrale dell’argomentazione è che la sola esistenza di una condanna penale – anche grave – non preclude automaticamente l’accesso alla protezione speciale, soprattutto quando il richiedente ha già scontato la pena e ha dimostrato nel tempo un percorso serio di integrazione sociale e rieducazione.

Gli elementi valutati dal Tribunale

Nel caso concreto, il Tribunale ha ricostruito con attenzione la posizione personale del ricorrente, evidenziando:

  • una presenza ultradecennale in Italia (13 anni), con un progressivo percorso di radicamento personale e lavorativo;

  • la partecipazione attiva a percorsi di istruzione e formazione, anche durante la detenzione;

  • l’attività lavorativa svolta sia all’interno che all’esterno del carcere, a dimostrazione di un impegno costante;

  • il miglioramento delle competenze linguistiche e l’inserimento sociale progressivo;

  • la convivenza con la zia ma con autonomia abitativa, segno di un consolidato equilibrio personale.

Il Tribunale osserva come, pur non potendosi ritenere cessata ogni potenziale pericolosità del ricorrente, questa risulti tuttavia notevolmente affievolita rispetto al passato e comunque non più prevalente rispetto al diritto al rispetto della vita privata.

Il giudizio di prevalenza: protezione speciale e non espulsione

Secondo il giudice, il diritto del ricorrente a non essere allontanato dal territorio nazionale, in forza del legame consolidato con l’Italia, del percorso rieducativo compiuto e dell’integrazione personale e lavorativa raggiunta, supera le esigenze generiche di sicurezza pubblica, che appaiono “subvalenti” nel caso di specie.

In particolare, la pronuncia ribadisce che il rischio di una compromissione irreparabile della vita privata e familiare – qualora l’interessato fosse rimpatriato dopo molti anni di vita in Italia – impone una valutazione che non può prescindere dal principio di proporzionalità e dal riconoscimento della dignità personale del migrante.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Bologna rappresenta un importante precedente nell’ambito del diritto degli stranieri: essa dimostra come anche chi ha commesso reati gravi possa, attraverso un autentico percorso di integrazione e riscatto, vedersi riconosciuto il diritto a restare in Italia per effetto della protezione speciale.

È una decisione che ricorda come il diritto debba sempre coniugare tutela della collettività e riconoscimento del valore delle storie personali, in coerenza con i principi della Costituzione italiana e della CEDU. La protezione speciale, in questa prospettiva, si conferma come uno strumento di giustizia sostanziale, capace di valutare il migrante non solo per il suo passato, ma anche per il suo presente e per il futuro che costruisce ogni giorno.

Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

 La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato immigrazionista – www.avvocatofabioloscerbo.it

Con sentenza del 9 gennaio 2025 (RG. 6843/2024), il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale in favore di una cittadina albanese, residente in Italia dal 2021, giunta nel nostro Paese per sostenere economicamente e affettivamente la propria figlia, cittadina greca, iscritta presso un'università italiana. Il provvedimento annulla il diniego emesso dalla Questura di Forlì sulla base del parere negativo espresso dalla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

1. Il contesto familiare: una madre al fianco della figlia

La vicenda ricostruita in fatto dal Tribunale evidenzia una dinamica familiare di forte impatto umano e giuridico: la donna, residente in Grecia da 24 anni con il marito, si separava da quest’ultimo nel momento in cui la figlia, giunta alla maggiore età, decideva di trasferirsi in Italia contro la volontà paterna. La madre la seguiva, scegliendo di vivere in Italia per fornire sostegno affettivo ed economico, anche a costo di interrompere un rapporto matrimoniale pluridecennale.

2. Il fondamento giuridico: l’art. 8 CEDU e la protezione speciale

Esclusa la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale o per la protezione complementare ex art. 19, commi 1 e 1.1., d.lgs. 286/1998 nella loro prima parte, il Tribunale riconosce i presupposti per l'applicazione della protezione speciale nella sua formulazione antecedente alla riforma introdotta con il D.L. n. 20/2023, in quanto la relativa istanza era stata proposta anteriormente.

La motivazione si fonda in larga parte sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), richiamando espressamente i principi elaborati dalla Corte EDU e consolidati dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, nonché dalla successiva Cass. n. 7861/2022.

3. Vita privata e familiare: nozioni autonome e interconnesse

Il Tribunale ribadisce la distinzione tra diritto alla vita privata e diritto alla vita familiare, entrambi tutelati dall’art. 8 CEDU. Quanto alla vita privata, viene richiamata la giurisprudenza della Corte EDU (Niemetz c. Germania, Peck c. Regno Unito, Bărbulescu v. Romania) che ne evidenzia la portata ampia, comprendente l’identità personale, le relazioni sociali, l’inserimento lavorativo e la stabilità in una data collettività.

Quanto alla vita familiare, viene richiamata la nota sentenza Marckx c. Belgio e altre pronunce più recenti (Narjis c. Italia, Paradiso e Campanelli c. Italia, Oliari c. Italia), che evidenziano come tale concetto possa estendersi anche a rapporti tra genitori e figli adulti, ove vi siano elementi concreti di dipendenza che vadano oltre la mera affettività.

4. L’elemento di dipendenza: un legame affettivo che diventa giuridicamente rilevante

Pur riconoscendo che ordinariamente i rapporti tra genitori e figli maggiorenni non danno luogo, di per sé, a una situazione giuridicamente protetta ex art. 8 CEDU, il Tribunale ravvisa nella vicenda concreta un’eccezione significativa: la ricorrente è oggi l’unico riferimento familiare per la figlia, che ha scelto un percorso autonomo in Italia in contrasto con la volontà del padre; la madre, a sua volta, ha modificato radicalmente la propria vita per accompagnare e sostenere questa scelta. Il legame, dunque, travalica la sfera privata per assumere rilevanza pubblica e giuridica.

5. L’integrazione sociale come ulteriore elemento di protezione

Il Tribunale valorizza inoltre la capacità di inserimento della ricorrente nel contesto italiano: ha reperito impieghi lavorativi, vive in autonomia e ha acquisito la lingua italiana. La circostanza che non conviva più con la figlia non è ritenuta ostativa, in quanto non richiesta dalla giurisprudenza europea per la tutela del diritto alla vita privata e familiare.

6. Conclusioni: il diritto alla protezione speciale come tutela dell’identità personale e relazionale

La sentenza in commento si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale sempre più attento alla dimensione relazionale dell’identità migrante, valorizzando non solo la protezione da pericoli, ma anche la tutela dell'inserimento, delle relazioni significative e della progettualità individuale.

In tale prospettiva, la protezione speciale si conferma non come uno strumento residuale, ma come una garanzia costituzionale e convenzionale, che riconosce la dignità delle scelte affettive, familiari e sociali, soprattutto quando queste sono sostenute da sacrifici reali e da un percorso di integrazione autentico.


giovedì 10 aprile 2025

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Avv. Fabio Loscerbo

Il rilascio del visto d’ingresso in favore dell’accompagnatore – o caregiver – di un cittadino straniero titolare di permesso di soggiorno per cure mediche rappresenta un tema che coniuga esigenze umanitarie, discrezionalità amministrativa e garanzie giurisdizionali. La disciplina normativa di riferimento è contenuta nell’art. 36, comma 1, del d.lgs. 286/98 (TUI), il quale riconosce non solo al malato straniero, ma anche all’eventuale accompagnatore, il diritto a ottenere un visto specifico, laddove sussistano precise condizioni di legge.

Tali condizioni riguardano la presentazione della documentazione sanitaria da parte della struttura italiana che erogherà le cure, la disponibilità di mezzi economici, la garanzia di vitto e alloggio durante il soggiorno e la degenza, nonché il versamento di una somma a titolo cauzionale. Inoltre, è esplicitamente previsto che la domanda possa essere presentata da un familiare o da chiunque vi abbia interesse, a conferma della natura sostanziale e non formale dell’interesse legittimante.

Il Decreto MAECI 11.5.2011, Allegato A, conferma la possibilità per l’accompagnatore di ottenere un visto per cure mediche, a condizione della disponibilità di adeguati mezzi di sostentamento, secondo i parametri fissati dal Ministero dell’Interno.

Una recente e significativa applicazione di tali disposizioni si rinviene nell’ordinanza n. 5693 del 12 dicembre 2024 del TAR Lazio, sede di Roma, che si distingue per chiarezza argomentativa e impatto sistematico. Il Collegio si è espresso su numerosi profili critici connessi a un diniego di visto opposto all’accompagnatore di un soggetto straniero già titolare di permesso per cure mediche. Le questioni affrontate attengono alla legittimazione attiva, alla qualifica soggettiva del caregiver, alla valutazione del rischio migratorio e alla possibilità di una condanna satisfattiva anche in sede cautelare.

Sul primo punto, viene affermato un principio fondamentale: la richiesta del visto può essere presentata tanto dal soggetto infermo quanto dall’accompagnatore stesso, principio coerente con l’art. 36 TUI e confermato da precedente giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, ord. n. 4799/2024).

Quanto alla qualifica soggettiva del caregiver, il TAR chiarisce che non è necessario alcun legame di parentela tra questi e il malato: il ruolo di accompagnatore può essere assunto da qualunque soggetto idoneo, anche estraneo alla cerchia familiare. La mancanza di legalizzazione o di sufficiente documentazione circa un eventuale legame familiare non può giustificare il diniego del visto, in quanto non richiesta da alcuna delle fonti normative di riferimento, nemmeno dal d.m. n. 850/2011.

Di rilievo è anche il passaggio in cui si stigmatizza la condotta dell’Amministrazione, la quale, nel corso del giudizio, aveva tentato di giustificare il diniego con una valutazione ex post del rischio migratorio, non contenuta nel provvedimento originario. Tale motivazione è stata dichiarata inammissibile, in quanto postuma e lesiva del principio di trasparenza dell’azione amministrativa.

Infine, particolarmente rilevante è la parte dell’ordinanza in cui il TAR accoglie l’istanza di condanna satisfattiva avanzata in sede cautelare, ai sensi degli artt. 34, lett. c) e 31, co. 3, c.p.a. La decisione si fonda sull’evidente esaurimento della discrezionalità amministrativa, già consumata con l’istruttoria e l’adozione del provvedimento impugnato, e sull’assenza di ostacoli derivanti da motivi di ordine pubblico o sicurezza.

Il provvedimento rappresenta, pertanto, una significativa evoluzione del diritto vivente in tema di ingresso e soggiorno degli accompagnatori di cittadini stranieri in terapia medica. Esso ribadisce che la ratio legis del sistema è orientata alla tutela della dignità e della salute, e che le valutazioni amministrative devono rispettare il principio di proporzionalità e motivazione, senza lasciarsi guidare da pregiudizi generalizzati o automatismi legati al cd. “rischio migratorio”.

È auspicabile che l’orientamento espresso trovi conferma in futuro, contribuendo a rendere il diritto all’accompagnamento durante le cure un’effettiva garanzia, indipendentemente dalla nazionalità, dalla parentela o da interpretazioni restrittive.


Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato in Bologna – Esperto in diritto dell’immigrazione

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

 

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

di Avv. Fabio Loscerbo

Con le sentenze nn. 32763 e 32767 del 16 dicembre 2024, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione torna a intervenire su una questione giuridica centrale nell’ambito del diritto dell’asilo: la gestione del trattenimento amministrativo in caso di presentazione della domanda di protezione internazionale da parte di un cittadino straniero già privato della libertà personale.

Entrambe le decisioni si collocano nella scia tracciata dalla sentenza n. 212/2023 della Corte costituzionale, ma si spingono oltre, delineando una ricostruzione sistematica del rapporto tra status sostanziale e formale di richiedente asilo, dei termini delle procedure accelerate e della tenuta costituzionale delle misure di trattenimento.


1. La legittimità della sospensione dei termini del trattenimento

Nella sentenza n. 32763/2024, la Corte affronta l’interpretazione dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. 142/2015, nella parte in cui dispone la sospensione dei termini del trattenimento qualora un cittadino straniero presenti domanda di protezione internazionale durante il periodo di trattenimento già convalidato dal giudice di pace.

Secondo la Corte, tale sospensione non determina la cessazione dell’efficacia del provvedimento restrittivo, che continua a produrre effetti giuridici in virtù della convalida originaria. A sostegno di tale impostazione, i giudici supremi richiamano l’art. 304 c.p.p., che ammette la sospensione dei termini della custodia cautelare senza che ciò infici la legittimità della misura detentiva.

Fino a che non intervenga la registrazione formale della domanda di asilo e l’adozione di un nuovo decreto di trattenimento ai sensi dell’art. 6, comma 3, la base legale della privazione della libertà resta quindi quella originaria, purché sia rispettato il termine delle 48 ore per la convalida del nuovo trattenimento una volta adottato.


2. La distinzione tra richiedente asilo primario e secondario

La Corte opera una distinzione rilevante tra richiedente asilo primario, ossia colui che presenta domanda in libertà, e richiedente asilo secondario, che invece manifesta la volontà di chiedere protezione in costanza di trattenimento.

Questa distinzione si riflette non solo sul piano procedurale, ma anche sul livello delle garanzie e dei doveri dello Stato. Per il richiedente trattenuto, l’art. 8, par. 3, lett. d) della Direttiva 2013/33/UE legittima il trattenimento in presenza di fondati motivi per ritenere strumentale la domanda, vale a dire presentata al solo scopo di impedire l’esecuzione del rimpatrio.

Nel costruire la differenza tra status formale e sostanziale di richiedente asilo, la Cassazione precisa che la manifestazione della volontà di richiedere protezione è sufficiente per acquisire una serie di garanzie, ma alcuni adempimenti procedurali restano vincolati alla formalizzazione della domanda.

La Corte auspica che le due condizioni, formale e sostanziale, siano riunificate nel più breve tempo possibile, come prescritto anche dall’art. 26, comma 2-bis, del d.lgs. 25/2008, al fine di evitare lacune di tutela.


3. Procedura accelerata: termini ordinatori e tutela effettiva

Nella sentenza n. 32767/2024, la Cassazione si pronuncia sulla procedura accelerata disciplinata dall’art. 28-bis del d.lgs. 25/2008, con particolare riferimento al coordinamento con l’art. 6 del d.lgs. 142/2015.

Confermandone l’orientamento consolidato, la Corte afferma che i termini di sette giorni per l’audizione e di due giorni per la decisione, previsti per le domande manifestamente infondate, non sono perentori, bensì meramente ordinatori. Il loro superamento non comporta la cessazione automatica del trattenimento, bensì la reviviscenza della procedura ordinaria, con conseguente ripristino del termine pieno per il ricorso e dell’effetto sospensivo automatico.

La violazione dei termini, tuttavia, non è irrilevante: l’inerzia o il superamento ingiustificato possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, se e in quanto incida sulla necessaria diligenza e tempestività dell’Amministrazione.

Interessante è il chiarimento secondo cui la mancata comunicazione al trattenuto del superamento dei termini non comporta nullità o invalidità della misura, poiché l’art. 27, comma 3, d.lgs. 25/2008 non prevede un vincolo formale in tal senso.


4. Considerazioni finali

Le due sentenze pongono l’accento su un equilibrio complesso tra diritto alla protezione internazionale, tutela effettiva giurisdizionale e legittimo interesse dello Stato a contrastare abusi e strumentalizzazioni.

Pur riaffermando la necessità di tempestività e accuratezza nella gestione procedurale, la Corte difende la legittimità del trattenimento in presenza di istanze sospette, sempreché il controllo giurisdizionale rimanga pienamente attivo e rigoroso.

Al contempo, si delinea con chiarezza l’invito – rivolto implicitamente anche all’Amministrazione – a non ritardare oltre misura la formalizzazione della domanda, affinché il richiedente non resti in una zona grigia giuridica, con effetti ambigui sulla propria libertà e sulla qualità dei propri diritti.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 5 aprile 2025

N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa

 

N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa

Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. R.G. 8654/2024, pronunciata in data 30 marzo 2025 dal Tribunale di Bologna, Sezione Immigrazione, il Giudice ha accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Questura di Ravenna che aveva rigettato un’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, motivandolo con l’assenza del certificato di idoneità abitativa.

Il contesto fattuale

Il ricorrente, cittadino albanese regolarmente coniugato con una cittadina straniera titolare di un valido titolo di soggiorno, aveva chiesto il rilascio di un permesso per motivi di coesione familiare. Tuttavia, l’Amministrazione aveva respinto l’istanza a causa della mancata allegazione del certificato di idoneità abitativa, requisito richiesto ai sensi dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. 286/98.

Nel corso del procedimento giudiziario, il ricorrente ha prodotto il certificato mancante, riferito a un nuovo immobile nel quale risiede attualmente il nucleo familiare. L’alloggio è risultato conforme per sei persone, ed effettivamente occupato da quattro: il ricorrente, la moglie e le due figlie.

Il principio giuridico richiamato

La sentenza fa corretta applicazione del consolidato principio espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui il giudice ordinario, nel sindacare il diniego del permesso di soggiorno, è vincolato ai motivi contenuti nel provvedimento impugnato e non può estendere d’ufficio il thema decidendum oltre i limiti della motivazione amministrativa e delle deduzioni delle parti (Cass. civ., sez. I, 08.02.2005, n. 2539; Cass. civ., sez. I, 18.04.2019, n. 10925).

In tal senso, il Giudice si è limitato ad accertare la sussistenza del requisito effettivamente posto a fondamento del rigetto, rilevando che il documento mancante era stato successivamente acquisito in giudizio e attestava l’idoneità abitativa richiesta per legge.

La decisione

Alla luce delle nuove risultanze, il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, compensando le spese di lite in ragione della natura della controversia e delle produzioni documentali intervenute solo in corso di causa.

Considerazioni finali

La pronuncia conferma l’importanza della tempestiva regolarizzazione documentale in sede contenziosa e valorizza l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare l’unità familiare in presenza dei presupposti sostanziali, anche quando il requisito documentale sia stato integrato in un momento successivo rispetto alla domanda amministrativa originaria.


Avv. Fabio Loscerbo

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