giovedì 24 aprile 2025

Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024

 

Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024

Avv. Fabio Loscerbo
Foro di Bologna

La sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024 affronta un tema giuridico di particolare attualità e rilievo: la possibilità di riconoscere il diritto al rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione europea anche in favore dell’ex coniuge che versi in una condizione di grave vulnerabilità e riceva assistenza stabile e continuativa da parte del cittadino UE.

Il caso

Il ricorrente, cittadino straniero residente in Italia dal 1989, aveva contratto matrimonio con una cittadina dell’Unione europea, con la quale aveva avuto due figli. In seguito al divorzio, era sopravvenuta una grave condizione di invalidità, con l’insorgenza di patologie altamente debilitanti. In tale contesto, il rapporto con l’ex moglie si era trasformato nuovamente in una relazione stabile di convivenza e assistenza, in cui la donna rappresentava l’unico supporto economico e materiale del ricorrente.

A fronte di una situazione di evidente dipendenza, il cittadino straniero presentava istanza per il rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino UE ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 30/2007. La Questura, tuttavia, rigettava la richiesta, ritenendola irricevibile per insussistenza del rapporto di coniugio.

Il quadro normativo e giurisprudenziale

Il Tribunale di Bologna, con un’accurata ricostruzione del quadro normativo nazionale ed eurounitario, ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del titolo di soggiorno, valorizzando una lettura estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 2, della Direttiva 2004/38/CE e del corrispondente art. 3 del D.Lgs. 30/2007.

Secondo tali norme, gli Stati membri devono “agevolare” l’ingresso e il soggiorno di ogni altro familiare che non rientri nella definizione ristretta dell’art. 2, ma che conviva con il cittadino UE o sia da questi assistito per gravi motivi di salute.

Richiamando il fondamentale considerando n. 6 della direttiva, che sancisce l’obiettivo di “preservare l’unità della famiglia in senso più ampio”, il Tribunale ha fatto leva sul principio dell’interpretazione funzionale e teleologica del diritto dell’Unione, avvalorata anche dalla sentenza della Corte di Giustizia UE, causa C-22/21 (SRS) del 15 settembre 2022.

La nozione ampia di “familiare”

La Corte di Giustizia ha chiarito che rientra nella categoria di cui all’art. 3, comma 2, chi intrattenga un rapporto di dipendenza stabile e personale con il cittadino UE, sviluppatosi in un contesto familiare e non meramente convivenziale. Non rileva, in altri termini, la qualifica giuridica del legame, quanto piuttosto la concretezza della relazione di assistenza e coesione domestica.

Il Tribunale di Bologna, sulla base di questa autorevole interpretazione, ha dunque riconosciuto il diritto del ricorrente alla carta di soggiorno, ribadendo che la convivenza e l’assistenza ricevuta dall’ex coniuge costituiscono requisiti sufficienti, alla luce della ratio della normativa UE, finalizzata alla protezione della vita familiare anche in situazioni atipiche e vulnerabili.

Conclusioni

La decisione si inserisce in una progressiva evoluzione giurisprudenziale volta a superare l’approccio formalistico alla nozione di “familiare” nei rapporti tra cittadini di Paesi terzi e cittadini dell’Unione. Essa afferma con forza un principio di solidarietà familiare sostanziale, che tiene conto delle reali dinamiche affettive, assistenziali e sociali all’interno del nucleo, anche al di fuori del vincolo coniugale.

In un contesto normativo che richiede flessibilità e attenzione ai diritti fondamentali della persona, la pronuncia del Tribunale di Bologna merita di essere segnalata per la capacità di coniugare legalità, umanità e tutela della dignità individuale.

sabato 19 aprile 2025

Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025

 Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025

Autore: Avv. Fabio Loscerbo


Introduzione

Con provvedimento del 11 aprile 2025, il Tribunale Ordinario di Torino – Nona Sezione Civile – ha accolto l’istanza cautelare proposta nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., disponendo la sospensione dell’efficacia esecutiva di un provvedimento amministrativo di rigetto concernente una richiesta di permesso di soggiorno per protezione speciale.

Il caso riveste interesse per due ordini di motivi: da un lato per l’immediato ripristino delle condizioni giuridiche del ricorrente sul territorio nazionale mediante la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno, dall’altro per la conferma dell’applicabilità del rito semplificato di cognizione ai procedimenti in materia di immigrazione ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 286/98.


Il quadro fattuale e normativo

La vicenda prende le mosse dal rigetto di una domanda di permesso per protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, TUI. Il provvedimento amministrativo impugnato veniva ritenuto viziato dalla difesa del ricorrente, sia per carenza motivazionale, sia per l’assenza di una adeguata valutazione delle circostanze personali e familiari, documentate con allegazioni successive al deposito della domanda.

In parallelo, il ricorrente aveva attivato un percorso d’integrazione lavorativa e abitativa documentato, corredato da buste paga, contratto di apprendistato e residenza stabile in Italia. L’effettiva attivazione dell’inserimento socio-lavorativo ha costituito elemento centrale nella valutazione del giudice.

In questo contesto è stato attivato il rito semplificato di cognizione previsto dagli articoli 281 decies e ss. c.p.c., con contestuale istanza cautelare volta a sospendere l’efficacia del rigetto.


La motivazione del Tribunale

Nel provvedimento dell’11 aprile 2025, il Collegio – composto dai magistrati Dott. Andrea Natale (Presidente), Dott.ssa Silvia Carosio e Dott.ssa Sara Perlo – ha ritenuto, “sulla base dei documenti depositati e di una valutazione meramente sommaria qual è quella che tipicamente connota la presente fase,” di dover accogliere l’istanza di sospensiva.

Conseguentemente, è stata disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato e il diritto del ricorrente ad ottenere dalla Questura competente la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno provvisorio.

Inoltre, è stata fissata udienza di comparizione delle parti, ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., per il giorno 22 ottobre 2025.


Rilievi critici e riflessioni

Il decreto in esame si inserisce in una ormai consolidata giurisprudenza di merito che riconosce la centralità del diritto al rispetto della vita privata e familiare nei giudizi relativi alla protezione speciale. È altresì significativo il richiamo, implicito ma evidente, al principio del favor integrazione, quale criterio ermeneutico per la tutela effettiva dei diritti fondamentali degli stranieri regolarmente integrati sul territorio nazionale.

L’adozione di una misura cautelare urgente, in attesa della definizione del merito, si rivela funzionale alla tutela dei diritti sociali ed economici del ricorrente, evitando effetti pregiudizievoli irreversibili legati all’esecuzione di un provvedimento di rigetto (es. licenziamento, espulsione, perdita della rete familiare e abitativa).


Conclusioni

Il decreto del Tribunale di Torino delinea una prassi virtuosa nell’utilizzo degli strumenti del processo civile semplificato per garantire una tutela rapida ed effettiva in materia di immigrazione. La sospensione della decisione amministrativa fino alla definizione della controversia si pone a presidio del principio di proporzionalità e del diritto al soggiorno temporaneo nei casi in cui emergano elementi concreti di radicamento.

Questa decisione si inserisce coerentemente nel solco tracciato da numerosi Tribunali italiani in materia di protezione speciale e conferma la legittimità dell’azione cautelare anche in presenza di un rigetto motivato con formula standardizzata e priva di effettiva ponderazione individuale.


Avv. Fabio Loscerbo

Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025

 

Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025

Avv. Fabio Loscerbo

1. Introduzione

Con ordinanza resa in data 16 aprile 2025, nel procedimento R.G. 319/2025, il Giudice di Pace di Ravenna ha disposto la sospensione dell’efficacia esecutiva di un decreto di espulsione emesso nei confronti di una cittadina straniera, accogliendo l’istanza cautelare presentata nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 13, comma 8, del D.lgs. 286/1998.

Il caso affrontato rappresenta un’occasione utile per riflettere sull’efficacia giuridica della presentazione della domanda di protezione internazionale e sulla rilevanza che tale elemento assume nell’ambito del giudizio di legittimità avverso i provvedimenti espulsivi.

2. Il contesto normativo e giurisprudenziale

Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione – da ultimo confermata con l’ordinanza n. 9610 del 10 aprile 2024 – la presentazione di una domanda di protezione internazionale non comporta l’automatica nullità o invalidità del decreto di espulsione eventualmente emesso in data anteriore o contestuale, bensì ne sospende l’efficacia esecutiva, fintanto che non sia definita la relativa procedura.

Tale principio discende direttamente dall’art. 35-bis del D.lgs. 25/2008 e dall’art. 19 del D.lgs. 286/1998, che garantiscono allo straniero il diritto a non essere allontanato dal territorio nazionale fino a quando penda una decisione sulla sua domanda di protezione. L’adozione del permesso di soggiorno provvisorio rilasciato dalla Questura in seguito alla formalizzazione della richiesta di asilo rappresenta un indice concreto della pendenza del procedimento e dell'inapplicabilità, in tale frangente, dell'esecuzione forzata del decreto espulsivo.

3. La decisione del Giudice di Pace di Ravenna

Nel caso di specie, il Giudice ha valorizzato due elementi centrali:

  • La presentazione della domanda di protezione internazionale da parte della ricorrente in data 20 gennaio 2025, immediatamente successiva alla notifica del decreto di espulsione;

  • Il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio da parte della Questura di Ravenna nella medesima data, a riprova dell’instaurazione del procedimento amministrativo ex art. 26 D.lgs. 25/2008.

Sulla base di tali circostanze, il Giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento prefettizio, precisando altresì che il procedimento avrebbe dovuto rimanere sospeso fino alla definizione della domanda di protezione internazionale.

4. La tutela cautelare nei procedimenti contro l’espulsione

Il provvedimento si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata che riconosce al giudice ordinario la possibilità di intervenire in via cautelare per impedire l’esecuzione di atti amministrativi lesivi di diritti fondamentali, come quelli derivanti dall’art. 10 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La sospensione del decreto di espulsione rappresenta, in questi casi, l’unica forma di tutela effettiva per evitare il rischio che il ricorrente sia allontanato coattivamente prima che la sua situazione venga esaminata in sede amministrativa e giurisdizionale. La misura cautelare, pertanto, si pone a presidio del diritto di difesa, del diritto al contraddittorio e della presunzione di non refoulement.

5. Osservazioni conclusive

L’ordinanza del Giudice di Pace di Ravenna assume rilievo non solo per l’immediata efficacia sospensiva del decreto di espulsione, ma anche per il suo valore di conferma di un principio di civiltà giuridica: non è possibile allontanare uno straniero che abbia attivato un legittimo procedimento di protezione, salvo che tale richiesta non sia manifestamente strumentale, fattispecie che nel caso di specie non è stata neppure contestata.

Si tratta di un provvedimento conforme al diritto nazionale, al diritto UE e alla giurisprudenza della Corte EDU, che sottolinea il ruolo centrale del giudice di pace nella tutela dei diritti fondamentali nel contesto delle misure amministrative di allontanamento.


Avv. Fabio Loscerbo

Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025

 

Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025

di Avv. Fabio Loscerbo

Con sentenza n. 935/2025, pubblicata il 14 aprile 2025 (R.G. 9465/2024), il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione Specializzata in materia di Immigrazione – ha accolto il ricorso proposto da una cittadina albanese, annullando il diniego della Questura di Modena e riconoscendo in suo favore il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, del D.lgs. 286/98.

1. La cornice normativa

La decisione si colloca nel quadro della normativa vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. 20/2023, come previsto dall’art. 7, comma 2, della stessa fonte normativa: per le domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto, o già oggetto di invito alla formalizzazione da parte della Questura, continua ad applicarsi la disciplina previgente. Ne consegue che il permesso per protezione speciale ha durata biennale, è rinnovabile ed è convertibile in permesso per motivi di lavoro.

La Corte bolognese compie un’approfondita analisi della riforma introdotta dal D.L. 130/2020, la quale ha ancorato espressamente la protezione speciale anche alla tutela del diritto alla vita privata e familiare ex art. 8 CEDU, ampliando il paradigma giurisprudenziale precedentemente sviluppato in materia di protezione umanitaria.

2. I criteri di valutazione: vita privata e radicamento

Il Collegio richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 24413/2021) e l’ordinanza interlocutoria n. 28316/2020, evidenziando come il diritto al rispetto della vita privata e familiare vada interpretato in chiave estensiva, anche alla luce delle pronunce della Corte EDU. In particolare, si ribadisce che il “radicamento” dello straniero non può essere valutato solo in base alla durata della permanenza o alla titolarità di un contratto di lavoro, ma anche sulla base della rete di relazioni, dell’identità sociale, della partecipazione alla vita collettiva e culturale.

Nel caso esaminato, la ricorrente vive da otto anni in Italia, ha una relazione affettiva stabile con un cittadino straniero titolare di protezione speciale, è occupata con contratto a tempo indeterminato e ha prodotto documentazione comprovante redditi, domicilio, vita relazionale e assenza di pericolosità sociale attuale. Tali elementi, secondo il Tribunale, integrano una vita privata consolidata e non possono essere sacrificati senza che si realizzi un vulnus al diritto sancito dall’art. 8 CEDU.

3. Il superamento del criterio esclusivo della “integrazione lavorativa”

Un passaggio rilevante della sentenza consiste nel superamento dell’approccio riduzionista secondo cui la protezione speciale debba fondarsi unicamente sull’inserimento lavorativo. Il Tribunale chiarisce, invece, che l’integrazione va letta in senso olistico, comprendente anche la dimensione affettiva, abitativa, linguistica e sociale. La decisione si allinea pertanto all’indirizzo più avanzato in giurisprudenza, che riconosce il “diritto a non essere sradicati” come nucleo essenziale della tutela dei diritti fondamentali.

4. Le conseguenze giuridiche

Oltre al riconoscimento della protezione speciale, la sentenza stabilisce che il relativo permesso dovrà essere rilasciato con le caratteristiche della vecchia disciplina: durata biennale, possibilità di svolgere attività lavorativa, rinnovabilità e convertibilità. Si dichiara inoltre la compensazione integrale delle spese di lite, evidenziando la natura meramente difensiva della pretesa del ricorrente.

5. Osservazioni conclusive

Questa sentenza rafforza ulteriormente l’orientamento secondo cui la protezione speciale – soprattutto nella sua declinazione fondata sulla vita privata – rappresenta oggi l’unica forma di tutela residuale per le persone straniere che, pur non rientrando nelle forme tipiche di protezione internazionale, abbiano costruito in Italia un percorso stabile, dignitoso e coerente con i valori costituzionali.

In tal senso, il Tribunale di Bologna si conferma come punto di riferimento nazionale nella giurisprudenza in materia di immigrazione, nella direzione di un’applicazione coerente dei principi costituzionali, convenzionali e sovranazionali.


Avv. Fabio Loscerbo

domenica 13 aprile 2025

Effettività della notifica e diritto di difesa nei procedimenti in materia di asilo: il Tribunale di Roma chiarisce i limiti della conoscenza informale del provvedimento

 Effettività della notifica e diritto di difesa nei procedimenti in materia di asilo: il Tribunale di Roma chiarisce i limiti della conoscenza informale del provvedimento

Avv. Fabio Loscerbo

Con decreto del 9 ottobre 2024 (R.G. 22188/2021), il Tribunale di Roma si è pronunciato su un ricorso ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008 presentato da un richiedente asilo ivoriano, rigettando la domanda di riconoscimento della protezione internazionale ma accogliendo quella per protezione speciale. Il decreto contiene un passaggio di particolare interesse sotto il profilo processuale, con riferimento alla tempestività del ricorso e alla validità della notifica del provvedimento impugnato.

Secondo quanto sostenuto in giudizio dall’Amministrazione dell’interno, il ricorrente sarebbe stato a conoscenza della decisione di rigetto della Commissione territoriale di Cagliari per effetto della consegna informale del provvedimento, benché la notifica non fosse ancora avvenuta nelle forme prescritte. Di conseguenza, secondo la difesa erariale, il termine per la proposizione del ricorso sarebbe dovuto decorrere da quel momento.

Il Tribunale, tuttavia, ha smentito tale ricostruzione, chiarendo che il provvedimento impugnato è stato formalmente conosciuto dal ricorrente solo in seguito all’accesso agli atti, e che non può attribuirsi rilievo giuridico alla semplice consegna informale priva delle garanzie previste dalla legge in materia di notificazione.

La certezza giuridica nella decorrenza dei termini

La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che tutela la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa. Come chiarito dal Tribunale, ritenere sufficiente una presa di conoscenza informale del provvedimento – priva di prova documentale, avviso di ricevimento o relata di notifica – equivarrebbe a introdurre una zona grigia nella determinazione del dies a quo, compromettendo tanto il principio della certezza del diritto quanto quello dell’economia processuale.

Sotto il primo profilo, si rischierebbe di fondare la decadenza del diritto di azione su una data incerta, unilaterale e difficilmente dimostrabile, in contrasto con il principio per cui le decadenze processuali devono sempre poggiare su atti formali e verificabili.

Sotto il secondo profilo, il riconoscimento di effetti alla conoscenza informale potrebbe moltiplicare inutili contenziosi, costringendo i giudici a pronunciarsi su eccezioni preliminari relative alla tempestività sulla base di elementi indeterminati, anziché favorire la concentrazione processuale sui profili sostanziali.

Il diritto a un ricorso effettivo e la forma della notifica

La decisione si collega direttamente al principio sancito dagli artt. 13 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui ogni persona ha diritto a un ricorso effettivo. L’effettività del ricorso implica non solo l’accesso alla giustizia, ma anche la possibilità di esercitare un diritto di difesa consapevole, che presuppone la piena conoscenza dell’atto da impugnare nelle forme legali previste.

In tal senso, la notificazione del provvedimento amministrativo costituisce non una mera formalità, ma un presidio di legalità e tutela per il destinatario. Il suo perfezionamento secondo le modalità previste dalla legge – ad esempio mediante raccomandata con avviso di ricevimento – è condizione necessaria affinché possa validamente iniziare a decorrere il termine per proporre ricorso.

Conclusioni

Il Tribunale di Roma riafferma un principio fondamentale: il termine per proporre ricorso decorre solo dalla notifica rituale del provvedimento e non da forme informali di conoscenza che, per quanto possano ritenersi avvenute, non offrono garanzie idonee a tutelare il diritto di difesa.

In materia di protezione internazionale, dove le conseguenze della decisione amministrativa possono incidere su beni primari come la libertà personale o l’integrità psicofisica, ogni limitazione del diritto a impugnare deve essere fondata su presupposti certi, formali e verificabili. Solo così si garantisce un effettivo accesso alla giustizia, conforme ai principi costituzionali e sovranazionali.

Avv. Fabio Loscerbo

Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna

 Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna

Avv. Fabio Loscerbo

Con il decreto del 14 novembre 2024 (R.G. 5763/2024), il Tribunale di Catania ha affrontato una questione di rilevante interesse pratico in materia di protezione internazionale: la validità della notifica del provvedimento di rigetto e il conseguente computo del termine per proporre ricorso ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008.

Nel caso in esame, l’Amministrazione aveva provato l’avvenuto invio della decisione negativa della Commissione territoriale tramite una schermata del sistema VESTANET, contenente la data di spedizione della raccomandata al richiedente. Tuttavia, non aveva fornito prova del perfezionamento della notifica, ossia della sua effettiva consegna al destinatario, elemento determinante per stabilire il dies a quo del termine decadenziale per impugnare.

Il principio generale: chi propone il ricorso deve provarne la tempestività

Il Tribunale ha correttamente richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui è onere del ricorrente dimostrare la tempestività dell’impugnazione, ad esempio mediante il deposito della copia notificata del provvedimento impugnato (Cass. n. 37672/2022; Cass. n. 21133/2020).

Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione con sentenza n. 18925 del 10 luglio 2024, questo principio va applicato tenendo conto anche dell’atteggiamento dell’Amministrazione: se l’Amministrazione non produce copia del provvedimento notificato con la relata o l’avviso di ricevimento, ciò non impedisce al ricorrente di dimostrare comunque la tempestività, allegando la documentazione alternativa o dimostrando l’infruttuoso tentativo di ottenerla.

La notifica per posta: rilevanza del timbro postale e dell’avviso di ricevimento

Il Tribunale di Catania ha osservato che, ai sensi dell’art. 11, co. 3-bis, d.lgs. 142/2015, la notifica del provvedimento di rigetto deve essere provata mediante la produzione degli atti completi del procedimento notificatorio, vale a dire l’avviso di ricevimento restituito al mittente. La sola schermata informatica del sistema VESTANET, che attesta l’invio ma non la ricezione, non è sufficiente a provare che la notifica si sia perfezionata (Cass. n. 36900/2022).

La conseguenza: il ricorso è tempestivo se manca prova della notifica

Alla luce di ciò, il giudice ha stabilito che in assenza di prova dell’effettiva consegna tramite posta, la notifica non può ritenersi valida. Di conseguenza, ha individuato il termine iniziale (dies a quo) non nella data di spedizione ma in quella della consegna a mano del provvedimento presso la Questura, avvenuta il 20 maggio 2024. Essendo stato il ricorso presentato entro 30 giorni da tale data, è stato dichiarato tempestivo.

Rilievi conclusivi

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale nel contenzioso in materia di protezione internazionale: non basta inviare un provvedimento per via postale per considerarlo notificato, ma occorre fornire la prova documentale della sua effettiva ricezione. È su questa base che si calcola il termine per ricorrere, e non sulla semplice esistenza di un’informazione interna al sistema amministrativo.

Inoltre, il decreto evidenzia il necessario bilanciamento tra l’onere probatorio del ricorrente e il dovere di cooperazione dell’Amministrazione, in un contesto in cui l’effettiva conoscenza dell’atto incide direttamente sull’esercizio di un diritto fondamentale: quello alla tutela giurisdizionale contro un diniego che può compromettere la permanenza sul territorio nazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

 La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2291/2024, emessa in data 8 marzo 2024 (R.G. 579/2024), il Tribunale di Bologna affronta in modo approfondito e innovativo il tema dell’accesso alla protezione speciale per stranieri gravati da una condanna per reato grave, collocandosi nel solco della giurisprudenza di legittimità che valorizza la funzione costituzionale e convenzionale di tale istituto.

Il ricorrente aveva presentato istanza ex art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286/98 direttamente al Questore prima dell’entrata in vigore della riforma del 2023, ricevendone rigetto in quanto gravato da condanna definitiva per un reato di particolare gravità, nonostante la pena fosse già stata interamente espiata. La decisione era stata adottata sulla base del parere negativo espresso dalla Commissione territoriale di Bologna.

Il principio generale: il bilanciamento tra diritto alla vita privata e sicurezza pubblica

Nella propria motivazione, il Tribunale richiama i principi sanciti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, sottolineando come l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU debba essere sempre oggetto di un bilanciamento con le esigenze di ordine e sicurezza pubblica, secondo un criterio di proporzionalità e attualità del pericolo.

Il punto centrale dell’argomentazione è che la sola esistenza di una condanna penale – anche grave – non preclude automaticamente l’accesso alla protezione speciale, soprattutto quando il richiedente ha già scontato la pena e ha dimostrato nel tempo un percorso serio di integrazione sociale e rieducazione.

Gli elementi valutati dal Tribunale

Nel caso concreto, il Tribunale ha ricostruito con attenzione la posizione personale del ricorrente, evidenziando:

  • una presenza ultradecennale in Italia (13 anni), con un progressivo percorso di radicamento personale e lavorativo;

  • la partecipazione attiva a percorsi di istruzione e formazione, anche durante la detenzione;

  • l’attività lavorativa svolta sia all’interno che all’esterno del carcere, a dimostrazione di un impegno costante;

  • il miglioramento delle competenze linguistiche e l’inserimento sociale progressivo;

  • la convivenza con la zia ma con autonomia abitativa, segno di un consolidato equilibrio personale.

Il Tribunale osserva come, pur non potendosi ritenere cessata ogni potenziale pericolosità del ricorrente, questa risulti tuttavia notevolmente affievolita rispetto al passato e comunque non più prevalente rispetto al diritto al rispetto della vita privata.

Il giudizio di prevalenza: protezione speciale e non espulsione

Secondo il giudice, il diritto del ricorrente a non essere allontanato dal territorio nazionale, in forza del legame consolidato con l’Italia, del percorso rieducativo compiuto e dell’integrazione personale e lavorativa raggiunta, supera le esigenze generiche di sicurezza pubblica, che appaiono “subvalenti” nel caso di specie.

In particolare, la pronuncia ribadisce che il rischio di una compromissione irreparabile della vita privata e familiare – qualora l’interessato fosse rimpatriato dopo molti anni di vita in Italia – impone una valutazione che non può prescindere dal principio di proporzionalità e dal riconoscimento della dignità personale del migrante.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Bologna rappresenta un importante precedente nell’ambito del diritto degli stranieri: essa dimostra come anche chi ha commesso reati gravi possa, attraverso un autentico percorso di integrazione e riscatto, vedersi riconosciuto il diritto a restare in Italia per effetto della protezione speciale.

È una decisione che ricorda come il diritto debba sempre coniugare tutela della collettività e riconoscimento del valore delle storie personali, in coerenza con i principi della Costituzione italiana e della CEDU. La protezione speciale, in questa prospettiva, si conferma come uno strumento di giustizia sostanziale, capace di valutare il migrante non solo per il suo passato, ma anche per il suo presente e per il futuro che costruisce ogni giorno.

Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

 La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato immigrazionista – www.avvocatofabioloscerbo.it

Con sentenza del 9 gennaio 2025 (RG. 6843/2024), il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale in favore di una cittadina albanese, residente in Italia dal 2021, giunta nel nostro Paese per sostenere economicamente e affettivamente la propria figlia, cittadina greca, iscritta presso un'università italiana. Il provvedimento annulla il diniego emesso dalla Questura di Forlì sulla base del parere negativo espresso dalla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

1. Il contesto familiare: una madre al fianco della figlia

La vicenda ricostruita in fatto dal Tribunale evidenzia una dinamica familiare di forte impatto umano e giuridico: la donna, residente in Grecia da 24 anni con il marito, si separava da quest’ultimo nel momento in cui la figlia, giunta alla maggiore età, decideva di trasferirsi in Italia contro la volontà paterna. La madre la seguiva, scegliendo di vivere in Italia per fornire sostegno affettivo ed economico, anche a costo di interrompere un rapporto matrimoniale pluridecennale.

2. Il fondamento giuridico: l’art. 8 CEDU e la protezione speciale

Esclusa la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale o per la protezione complementare ex art. 19, commi 1 e 1.1., d.lgs. 286/1998 nella loro prima parte, il Tribunale riconosce i presupposti per l'applicazione della protezione speciale nella sua formulazione antecedente alla riforma introdotta con il D.L. n. 20/2023, in quanto la relativa istanza era stata proposta anteriormente.

La motivazione si fonda in larga parte sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), richiamando espressamente i principi elaborati dalla Corte EDU e consolidati dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, nonché dalla successiva Cass. n. 7861/2022.

3. Vita privata e familiare: nozioni autonome e interconnesse

Il Tribunale ribadisce la distinzione tra diritto alla vita privata e diritto alla vita familiare, entrambi tutelati dall’art. 8 CEDU. Quanto alla vita privata, viene richiamata la giurisprudenza della Corte EDU (Niemetz c. Germania, Peck c. Regno Unito, Bărbulescu v. Romania) che ne evidenzia la portata ampia, comprendente l’identità personale, le relazioni sociali, l’inserimento lavorativo e la stabilità in una data collettività.

Quanto alla vita familiare, viene richiamata la nota sentenza Marckx c. Belgio e altre pronunce più recenti (Narjis c. Italia, Paradiso e Campanelli c. Italia, Oliari c. Italia), che evidenziano come tale concetto possa estendersi anche a rapporti tra genitori e figli adulti, ove vi siano elementi concreti di dipendenza che vadano oltre la mera affettività.

4. L’elemento di dipendenza: un legame affettivo che diventa giuridicamente rilevante

Pur riconoscendo che ordinariamente i rapporti tra genitori e figli maggiorenni non danno luogo, di per sé, a una situazione giuridicamente protetta ex art. 8 CEDU, il Tribunale ravvisa nella vicenda concreta un’eccezione significativa: la ricorrente è oggi l’unico riferimento familiare per la figlia, che ha scelto un percorso autonomo in Italia in contrasto con la volontà del padre; la madre, a sua volta, ha modificato radicalmente la propria vita per accompagnare e sostenere questa scelta. Il legame, dunque, travalica la sfera privata per assumere rilevanza pubblica e giuridica.

5. L’integrazione sociale come ulteriore elemento di protezione

Il Tribunale valorizza inoltre la capacità di inserimento della ricorrente nel contesto italiano: ha reperito impieghi lavorativi, vive in autonomia e ha acquisito la lingua italiana. La circostanza che non conviva più con la figlia non è ritenuta ostativa, in quanto non richiesta dalla giurisprudenza europea per la tutela del diritto alla vita privata e familiare.

6. Conclusioni: il diritto alla protezione speciale come tutela dell’identità personale e relazionale

La sentenza in commento si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale sempre più attento alla dimensione relazionale dell’identità migrante, valorizzando non solo la protezione da pericoli, ma anche la tutela dell'inserimento, delle relazioni significative e della progettualità individuale.

In tale prospettiva, la protezione speciale si conferma non come uno strumento residuale, ma come una garanzia costituzionale e convenzionale, che riconosce la dignità delle scelte affettive, familiari e sociali, soprattutto quando queste sono sostenute da sacrifici reali e da un percorso di integrazione autentico.


giovedì 10 aprile 2025

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Avv. Fabio Loscerbo

Il rilascio del visto d’ingresso in favore dell’accompagnatore – o caregiver – di un cittadino straniero titolare di permesso di soggiorno per cure mediche rappresenta un tema che coniuga esigenze umanitarie, discrezionalità amministrativa e garanzie giurisdizionali. La disciplina normativa di riferimento è contenuta nell’art. 36, comma 1, del d.lgs. 286/98 (TUI), il quale riconosce non solo al malato straniero, ma anche all’eventuale accompagnatore, il diritto a ottenere un visto specifico, laddove sussistano precise condizioni di legge.

Tali condizioni riguardano la presentazione della documentazione sanitaria da parte della struttura italiana che erogherà le cure, la disponibilità di mezzi economici, la garanzia di vitto e alloggio durante il soggiorno e la degenza, nonché il versamento di una somma a titolo cauzionale. Inoltre, è esplicitamente previsto che la domanda possa essere presentata da un familiare o da chiunque vi abbia interesse, a conferma della natura sostanziale e non formale dell’interesse legittimante.

Il Decreto MAECI 11.5.2011, Allegato A, conferma la possibilità per l’accompagnatore di ottenere un visto per cure mediche, a condizione della disponibilità di adeguati mezzi di sostentamento, secondo i parametri fissati dal Ministero dell’Interno.

Una recente e significativa applicazione di tali disposizioni si rinviene nell’ordinanza n. 5693 del 12 dicembre 2024 del TAR Lazio, sede di Roma, che si distingue per chiarezza argomentativa e impatto sistematico. Il Collegio si è espresso su numerosi profili critici connessi a un diniego di visto opposto all’accompagnatore di un soggetto straniero già titolare di permesso per cure mediche. Le questioni affrontate attengono alla legittimazione attiva, alla qualifica soggettiva del caregiver, alla valutazione del rischio migratorio e alla possibilità di una condanna satisfattiva anche in sede cautelare.

Sul primo punto, viene affermato un principio fondamentale: la richiesta del visto può essere presentata tanto dal soggetto infermo quanto dall’accompagnatore stesso, principio coerente con l’art. 36 TUI e confermato da precedente giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, ord. n. 4799/2024).

Quanto alla qualifica soggettiva del caregiver, il TAR chiarisce che non è necessario alcun legame di parentela tra questi e il malato: il ruolo di accompagnatore può essere assunto da qualunque soggetto idoneo, anche estraneo alla cerchia familiare. La mancanza di legalizzazione o di sufficiente documentazione circa un eventuale legame familiare non può giustificare il diniego del visto, in quanto non richiesta da alcuna delle fonti normative di riferimento, nemmeno dal d.m. n. 850/2011.

Di rilievo è anche il passaggio in cui si stigmatizza la condotta dell’Amministrazione, la quale, nel corso del giudizio, aveva tentato di giustificare il diniego con una valutazione ex post del rischio migratorio, non contenuta nel provvedimento originario. Tale motivazione è stata dichiarata inammissibile, in quanto postuma e lesiva del principio di trasparenza dell’azione amministrativa.

Infine, particolarmente rilevante è la parte dell’ordinanza in cui il TAR accoglie l’istanza di condanna satisfattiva avanzata in sede cautelare, ai sensi degli artt. 34, lett. c) e 31, co. 3, c.p.a. La decisione si fonda sull’evidente esaurimento della discrezionalità amministrativa, già consumata con l’istruttoria e l’adozione del provvedimento impugnato, e sull’assenza di ostacoli derivanti da motivi di ordine pubblico o sicurezza.

Il provvedimento rappresenta, pertanto, una significativa evoluzione del diritto vivente in tema di ingresso e soggiorno degli accompagnatori di cittadini stranieri in terapia medica. Esso ribadisce che la ratio legis del sistema è orientata alla tutela della dignità e della salute, e che le valutazioni amministrative devono rispettare il principio di proporzionalità e motivazione, senza lasciarsi guidare da pregiudizi generalizzati o automatismi legati al cd. “rischio migratorio”.

È auspicabile che l’orientamento espresso trovi conferma in futuro, contribuendo a rendere il diritto all’accompagnamento durante le cure un’effettiva garanzia, indipendentemente dalla nazionalità, dalla parentela o da interpretazioni restrittive.


Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato in Bologna – Esperto in diritto dell’immigrazione

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

 

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

di Avv. Fabio Loscerbo

Con le sentenze nn. 32763 e 32767 del 16 dicembre 2024, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione torna a intervenire su una questione giuridica centrale nell’ambito del diritto dell’asilo: la gestione del trattenimento amministrativo in caso di presentazione della domanda di protezione internazionale da parte di un cittadino straniero già privato della libertà personale.

Entrambe le decisioni si collocano nella scia tracciata dalla sentenza n. 212/2023 della Corte costituzionale, ma si spingono oltre, delineando una ricostruzione sistematica del rapporto tra status sostanziale e formale di richiedente asilo, dei termini delle procedure accelerate e della tenuta costituzionale delle misure di trattenimento.


1. La legittimità della sospensione dei termini del trattenimento

Nella sentenza n. 32763/2024, la Corte affronta l’interpretazione dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. 142/2015, nella parte in cui dispone la sospensione dei termini del trattenimento qualora un cittadino straniero presenti domanda di protezione internazionale durante il periodo di trattenimento già convalidato dal giudice di pace.

Secondo la Corte, tale sospensione non determina la cessazione dell’efficacia del provvedimento restrittivo, che continua a produrre effetti giuridici in virtù della convalida originaria. A sostegno di tale impostazione, i giudici supremi richiamano l’art. 304 c.p.p., che ammette la sospensione dei termini della custodia cautelare senza che ciò infici la legittimità della misura detentiva.

Fino a che non intervenga la registrazione formale della domanda di asilo e l’adozione di un nuovo decreto di trattenimento ai sensi dell’art. 6, comma 3, la base legale della privazione della libertà resta quindi quella originaria, purché sia rispettato il termine delle 48 ore per la convalida del nuovo trattenimento una volta adottato.


2. La distinzione tra richiedente asilo primario e secondario

La Corte opera una distinzione rilevante tra richiedente asilo primario, ossia colui che presenta domanda in libertà, e richiedente asilo secondario, che invece manifesta la volontà di chiedere protezione in costanza di trattenimento.

Questa distinzione si riflette non solo sul piano procedurale, ma anche sul livello delle garanzie e dei doveri dello Stato. Per il richiedente trattenuto, l’art. 8, par. 3, lett. d) della Direttiva 2013/33/UE legittima il trattenimento in presenza di fondati motivi per ritenere strumentale la domanda, vale a dire presentata al solo scopo di impedire l’esecuzione del rimpatrio.

Nel costruire la differenza tra status formale e sostanziale di richiedente asilo, la Cassazione precisa che la manifestazione della volontà di richiedere protezione è sufficiente per acquisire una serie di garanzie, ma alcuni adempimenti procedurali restano vincolati alla formalizzazione della domanda.

La Corte auspica che le due condizioni, formale e sostanziale, siano riunificate nel più breve tempo possibile, come prescritto anche dall’art. 26, comma 2-bis, del d.lgs. 25/2008, al fine di evitare lacune di tutela.


3. Procedura accelerata: termini ordinatori e tutela effettiva

Nella sentenza n. 32767/2024, la Cassazione si pronuncia sulla procedura accelerata disciplinata dall’art. 28-bis del d.lgs. 25/2008, con particolare riferimento al coordinamento con l’art. 6 del d.lgs. 142/2015.

Confermandone l’orientamento consolidato, la Corte afferma che i termini di sette giorni per l’audizione e di due giorni per la decisione, previsti per le domande manifestamente infondate, non sono perentori, bensì meramente ordinatori. Il loro superamento non comporta la cessazione automatica del trattenimento, bensì la reviviscenza della procedura ordinaria, con conseguente ripristino del termine pieno per il ricorso e dell’effetto sospensivo automatico.

La violazione dei termini, tuttavia, non è irrilevante: l’inerzia o il superamento ingiustificato possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, se e in quanto incida sulla necessaria diligenza e tempestività dell’Amministrazione.

Interessante è il chiarimento secondo cui la mancata comunicazione al trattenuto del superamento dei termini non comporta nullità o invalidità della misura, poiché l’art. 27, comma 3, d.lgs. 25/2008 non prevede un vincolo formale in tal senso.


4. Considerazioni finali

Le due sentenze pongono l’accento su un equilibrio complesso tra diritto alla protezione internazionale, tutela effettiva giurisdizionale e legittimo interesse dello Stato a contrastare abusi e strumentalizzazioni.

Pur riaffermando la necessità di tempestività e accuratezza nella gestione procedurale, la Corte difende la legittimità del trattenimento in presenza di istanze sospette, sempreché il controllo giurisdizionale rimanga pienamente attivo e rigoroso.

Al contempo, si delinea con chiarezza l’invito – rivolto implicitamente anche all’Amministrazione – a non ritardare oltre misura la formalizzazione della domanda, affinché il richiedente non resti in una zona grigia giuridica, con effetti ambigui sulla propria libertà e sulla qualità dei propri diritti.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 5 aprile 2025

N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa

 

N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa

Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. R.G. 8654/2024, pronunciata in data 30 marzo 2025 dal Tribunale di Bologna, Sezione Immigrazione, il Giudice ha accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Questura di Ravenna che aveva rigettato un’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, motivandolo con l’assenza del certificato di idoneità abitativa.

Il contesto fattuale

Il ricorrente, cittadino albanese regolarmente coniugato con una cittadina straniera titolare di un valido titolo di soggiorno, aveva chiesto il rilascio di un permesso per motivi di coesione familiare. Tuttavia, l’Amministrazione aveva respinto l’istanza a causa della mancata allegazione del certificato di idoneità abitativa, requisito richiesto ai sensi dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. 286/98.

Nel corso del procedimento giudiziario, il ricorrente ha prodotto il certificato mancante, riferito a un nuovo immobile nel quale risiede attualmente il nucleo familiare. L’alloggio è risultato conforme per sei persone, ed effettivamente occupato da quattro: il ricorrente, la moglie e le due figlie.

Il principio giuridico richiamato

La sentenza fa corretta applicazione del consolidato principio espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui il giudice ordinario, nel sindacare il diniego del permesso di soggiorno, è vincolato ai motivi contenuti nel provvedimento impugnato e non può estendere d’ufficio il thema decidendum oltre i limiti della motivazione amministrativa e delle deduzioni delle parti (Cass. civ., sez. I, 08.02.2005, n. 2539; Cass. civ., sez. I, 18.04.2019, n. 10925).

In tal senso, il Giudice si è limitato ad accertare la sussistenza del requisito effettivamente posto a fondamento del rigetto, rilevando che il documento mancante era stato successivamente acquisito in giudizio e attestava l’idoneità abitativa richiesta per legge.

La decisione

Alla luce delle nuove risultanze, il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, compensando le spese di lite in ragione della natura della controversia e delle produzioni documentali intervenute solo in corso di causa.

Considerazioni finali

La pronuncia conferma l’importanza della tempestiva regolarizzazione documentale in sede contenziosa e valorizza l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare l’unità familiare in presenza dei presupposti sostanziali, anche quando il requisito documentale sia stato integrato in un momento successivo rispetto alla domanda amministrativa originaria.


Avv. Fabio Loscerbo

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RG 269/2025 – Decreto del Giudice di Pace di Pistoia del 2 aprile 2025: la sospensione dell’espulsione in presenza di una domanda di protezione internazionale

RG 269/2025 – Decreto del Giudice di Pace di Pistoia del 2 aprile 2025: la sospensione dell’espulsione in presenza di una domanda di protezione internazionale

Abstract
Il presente contributo analizza il decreto emesso dal Giudice di Pace di Pistoia in data 2 aprile 2025 (RG 269/2025), con cui è stata disposta la sospensione dell’efficacia di un provvedimento di espulsione adottato dalla Prefettura – UTG di Pistoia, alla luce della presentazione da parte dello straniero di una domanda di protezione internazionale successivamente all’adozione del provvedimento espulsivo. Il provvedimento si inserisce nel solco di una consolidata giurisprudenza nazionale ed europea in tema di diritto alla permanenza sul territorio nel corso della procedura di protezione, ribadendo la prevalenza delle garanzie riconosciute ai richiedenti asilo.


1. Il caso concreto

Il procedimento ha riguardato l’impugnazione di un decreto di espulsione emesso il 7 gennaio 2025 a carico di un cittadino straniero, F.O., il quale, nelle more del giudizio, ha presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Il ricorso è stato affidato alla difesa dell’Avv. Fabio Loscerbo del Foro di Bologna.

La documentazione prodotta in giudizio ha attestato che in data 14 febbraio 2025 era stata formalizzata la richiesta di protezione internazionale presso la Questura di Firenze, con contestuale rilascio del permesso di soggiorno provvisorio ai sensi dell’art. 4, co. 3 del D.Lgs. 142/2015.


2. Il principio di inespellibilità del richiedente protezione

Il Giudice di Pace, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra cui Cass. 19819/2018 e Cass. 11309/2019), ha riaffermato il principio per cui il richiedente asilo ha diritto a permanere sul territorio dello Stato fino alla conclusione della procedura, anche nel caso in cui la domanda sia stata presentata successivamente all’emissione del decreto espulsivo.

Tale orientamento è stato rafforzato dal riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, Grande Sezione, 15.02.2016, C-601/15 PPU), che ha sottolineato l’obbligo degli Stati membri di garantire l’effettivo esercizio del diritto di asilo prima dell’esecuzione di qualsiasi misura di allontanamento.


3. Sospensione dell’efficacia esecutiva e non annullamento del decreto di espulsione

Un aspetto centrale della decisione è rappresentato dalla distinzione operata tra l’annullamento del provvedimento espulsivo e la sospensione della sua efficacia: il decreto conferma che la presentazione della domanda di protezione internazionale non determina l’automatica invalidità del decreto di espulsione, ma impone esclusivamente la sua sospensione, in attesa della decisione della Commissione Territoriale.

Tale interpretazione, coerente con Cass. 5437/2020 e Cass. 25694/2020, consente di garantire un equilibrio tra il potere amministrativo di adottare misure di allontanamento e la tutela dei diritti fondamentali dello straniero.


4. Conclusioni

Il provvedimento in commento rappresenta un’applicazione corretta e coerente dei principi costituzionali ed eurounitari in materia di protezione internazionale. Esso rafforza l’idea che, anche in ambito amministrativo, il diritto alla permanenza temporanea dello straniero sia strumentale alla piena ed effettiva fruizione del diritto d’asilo, e che l’adozione di provvedimenti espulsivi debba sempre confrontarsi con le tutele previste per i richiedenti.

In un contesto giurisprudenziale in cui si tende talvolta a comprimere il diritto alla difesa e alla permanenza, la decisione del Giudice di Pace di Pistoia merita apprezzamento per la chiarezza dei presupposti giuridici e per l’equilibrio garantito tra le esigenze di sicurezza e il rispetto dei diritti umani.


Avv. Fabio Loscerbo
Foro di Bologna – www.avvocatofabioloscerbo.it



martedì 1 aprile 2025

R.G. 8654/2024 – Tribunale di Bologna – Sentenza del 30 marzo 2025 Permesso di soggiorno per motivi familiari: prevale la produzione tardiva del certificato di idoneità abitativa

 

R.G. 8654/2024 – Tribunale di Bologna – Sentenza del 30 marzo 2025

Permesso di soggiorno per motivi familiari: prevale la produzione tardiva del certificato di idoneità abitativa

Nel procedimento iscritto al n. R.G. 8654/2024, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso presentato da un cittadino albanese avverso il provvedimento della Questura di Ravenna con cui era stato disposto il rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il provvedimento impugnato si fondava unicamente sulla mancanza, al momento della domanda, del certificato di idoneità abitativa previsto dall’art. 29, comma 3, del D.lgs. 286/1998. In sede di giudizio, tuttavia, tale documento è stato prodotto e ha attestato la piena conformità dell’alloggio ospitante, già residenza della moglie del ricorrente, per sei persone, numero che comprendeva il nucleo familiare di riferimento.

Il Tribunale ha precisato, sulla scorta di consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., sez. I, sent. n. 2539/2005 e n. 10925/2019), che il sindacato del giudice ordinario in tema di permessi di soggiorno per motivi familiari è circoscritto ai profili specificamente contestati nel provvedimento impugnato, senza possibilità di estendere il controllo ad altri presupposti non dedotti.

Con riferimento al caso concreto, il Tribunale ha quindi ritenuto irrilevante il momento in cui il certificato di idoneità abitativa è stato presentato, osservando che nel momento della decisione l’alloggio risultava conforme e la residenza del ricorrente già avviata presso il medesimo immobile.

Il ricorso è stato quindi accolto, con accertamento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. Le spese sono state compensate in ragione della natura documentale della controversia.

La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a tutelare il diritto all’unità familiare e a valorizzare la leale collaborazione procedimentale tra cittadino e pubblica amministrazione, anche alla luce dell’art. 7 della Direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare. Essa conferma che la produzione tardiva di documenti determinanti – se intervenuta prima della decisione finale – non può giustificare un automatismo rigettante, ma deve essere esaminata nel merito.


Avv. Fabio Loscerbo

Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunale di Bologna del 2 ottobre 2024

  Tutela dell’unità familiare e carta di soggiorno per ex coniuge: la nozione estensiva di “familiare” alla luce della sentenza del Tribunal...